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Tre buone ragioni per benedire la decisione del Tribunale sull’Altoforno Ilva

La sentenza del Tribunale del Riesame di Taranto che ha accolto l’istanza presentata dai commissari dell’Ilva in amministrazione straordinaria di autorizzare l’uso dell’Altoforno n.2 – che invece il giudice monocratico del processo per la tragica scomparsa dell’operaio Morricella avvenuta nel 2015 avrebbe voluto che fosse avviato allo spegnimento per ragioni di sicurezza di coloro che vi lavorano, nonostante il parere positivo espresso dalla Procura sulla richiesta dei legali – assume particolare rilievo per molteplici aspetti.

Premettendo che la gestione commissariale del gruppo Ilva ha evidenti profili pubblicistici a tutela dei creditori e dell’integrità dell’intero compendio venduto e aggiudicato con gara internazionale al gruppo franco-indiano e che, pertanto, era auspicabile che un organo giurisdizionale dello Stato non creasse difficoltà ad un altro organo statuale – in questo caso l’esecutivo impegnato in un difficile negoziato con Arcelor Mittal sul futuro del gruppo Ilva – l’importanza della sentenza emerge dalle seguenti motivazioni.

In primo luogo perché era attesa da governo, sindacati, istituzioni locali e dalla Confindustria nazionale e territoriale, con l’auspicio comune che fosse accolta la richiesta dei commissari, anche perché era stata supportata da precise garanzie e dall’assicurazione che saranno introdotte nei tempi tecnici necessari tecnologie robotizzate utili a ridurre ulteriormente i rischi per gli addetti all’impianto, macchinari per il cui acquisto è già stato versato (come documentato) un acconto alle ditte fornitrici, e che ora dovrebbero essere applicati anche sull’Afo1 e sull’Afo4 tuttora in esercizio.

In secondo luogo la sentenza evita che – come aveva preannunciato l’attuale gestione del gruppo in caso di rigetto – vengano posti in cassa integrazione straordinaria 3.500 operai, tecnici e impiegati, compresi i 1.273 già in cigs, con le intuibili pesanti ripercussioni sui livelli di reddito non solo dei dipendenti diretti dell’Ilva, ma anche di quelli delle aziende dell’indotto che non avrebbero più lavorato sull’Afo2.

In terzo luogo la decisione del Riesame consente una migliore prosecuzione della complessa trattativa fra governo e Arcelor Mittal sul futuro assetto del Gruppo siderurgico e del suo stabilimento tarantino, alla luce del memorandum sottoscritto fra le parti dinanzi al Tribunale di Milano nello scorso dicembre e che, è bene precisarlo ancora una volta, rappresenta solo una base per un negoziato il cui esito favorevole non è affatto scontato.

Eppure entro questo mese bisognerà giungere ad una nuova definizione, sia pure di massima, del futuro assetto occupazionale, produttivo e impiantistico dell’Ilva anche in vista della prossima udienza del 7 febbraio presso il Tribunale di Milano sui contrapposti atti di inadempienze presentati a suo tempo da Arcelor Mittal e dai commissari. E il futuro del gruppo non riguarda solo l’acciaieria del capoluogo ionico, ma anche gli stabilimenti di Genova e Novi Ligure ed altri di minori dimensioni.
Ora pertanto il governo, a parere dello scrivente, dovrà procedere con cadenze serrate nella trattativa, ribadendo con forza che un punto assolutamente non negoziabile è la conservazione della capacità produttiva di Taranto a 8 milioni di tonnellate di acciaio grezzo all’anno, con il ripristino dell’AFO5, fermo da anni, e l’introduzione di due forni elettrici che impieghino il preridotto di ferro, da prodursi a Taranto con un costo del gas che renda conveniente l’utilizzo di quel semilavorato.

Se Arcelor Mittal accetta questa condizione, bisognerebbe subito dopo definire le percentuali di presenza pubblica nella società AmInvestco Italy – di cui peraltro deve essere ricostituito il capitale sociale azzerato nel corso del 2019 con perdite superiori anche al suo importo – e poi quella di altri azionisti bancari ed imprenditoriali, nonché, ovviamente, i livelli occupazionali che non devono subire drastiche riduzioni, anche se l’introduzione dei forni elettrici sul medio periodo potrebbe causarne.

Insomma da oggi – grazie alla sentenza del Tribunale del Riesame – il governo potrà imprimere una brusca accelerazione all’iter di definizione della questione Ilva, preparandosi se del caso anche ad un piano B che preveda l’uscita di Arcelor e un nuovo assetto proprietario del gruppo. E bisognerà accelerare perché l’anno che è appena iniziato non può e non deve lasciare irrisolti ancora a lungo i nodi che aggrovigliano ormai da anni le problematiche dell’Ilva e della città di Taranto.

Operai, tecnici, quadri e dirigenti del siderurgico e dei centri di lavorazione di Genova e Novi Ligure, insieme ai dipendenti delle imprese dell’indotto, ma anche cittadini di Taranto, Istituzioni locali e nazionali, Autorità di sistema portuali, banche e stampa sono tutti ormai molto stanchi perché stressati da oltre sette anni di vicende giudiziarie e infelici procedure di gestione di fabbriche che, ricollocate invece in assetti societari stabili e rese pienamente ecosostenibili con l’impiego delle migliori tecnologie disponibili, possono continuare ad offrire il loro contributo all’economia nazionale. Impone un’accelerazione possibilmente conclusiva alla trattativa Governo-Arcelor anche l’attesa ormai prolungata dell’industria meccanica italiana che deve poter continuare a contare sull’attività del Siderurgico ionico, sui suoi coils, sulle lamiere e sui suoi tubi.

La partita, è appena il caso di ribadirlo, è di grande complessità tecnica, economica, occupazionale e ambientale, ma si può e si deve vincere nell’interesse della città, della Puglia e dell’intero Paese. Contemporaneamente bisogna accelerare sulla messa a punto dei provvedimenti del “cantiere Taranto”, per la diversificazione economica del territorio, voluto meritoriamente dal Presidente Conte che – si consenta di ricordarlo a chi ha affermato di recente che i governi precedenti non hanno fatto nulla per la città – può invece avvalersi dei provvedimenti assunti dagli esecutivi Renzi e Gentiloni, cominciando proprio dal vigente Contratto istituzionale di sviluppo di cui devono ancora spendersi somme ingenti. E nell’incontro previsto al riguardo per il prossimo il 17 gennaio a Taranto con la partecipazione di vari ministri bisognerà portare proposte concrete e cronoprogrammi di attuazione credibili e non solo buoni propositi e alcune promesse a futura memoria.

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