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Indagini, stop ai toni enfatici dei pm. Il monito della Cassazione

Certo non si può dire che siano mancati gli spunti di dibattito oggi nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario alla Corte di Cassazione. Una cerimonia scoppiettante se non altro perché i principali temi di discussione e di scontro politico – su cui non solo i partiti si dividono anche animatamente – sono stati al centro degli interventi di due dei padroni di casa, il primo presidente Giovanni Mammone e il procuratore generale Giovanni Salvi. Che non hanno lesinato parole nette sulla prescrizione, sulle conseguenze dei cosiddetti decreti Sicurezza e sulla spettacolarizzazione delle indagini e dei processi.

In particolare su quest’ultimo punto quello di Salvi è apparso come un vero e proprio monito ai colleghi magistrati, affinché evitino forzature dal punto di vista della comunicazione delle indagini. “Toni enfatici – tali da generare nell’opinione pubblica la convinzione della definitività dell’accertamento – sono professionalmente inadeguati e lesivi dei diritti degli indagati”, ha affermato il procuratore generale della Corte di Cassazione con una presa di posizione che lascia spazio a pochissimi dubbi. La difesa dei diritti di chi è sottoposto a indagini è un valore del nostro ordinamento costituzionale che deve essere difeso in ogni occasione. Messaggio che Salvi ha poi ulteriormente rincarato, a conferma di quanto questi aspetti siano a suo avviso fondamentali: “La semplificazione della comunicazione rischia di generare il sospetto che non la fiducia della pubblica opinione sia ricercata, ma il suo consenso. E questo sarebbe la fine dell’indipendenza del pubblico ministero”. Che deve attenersi “ai doveri di riservatezza e correttezza, come manifestazione e riflesso” della sua imparzialità e autonomia. Parole che potrebbero fungere da stimolo a interrompere il circo mediatico-giudiziario che in troppi casi ha scandito la vita pubblica del nostro Paese e le vicende personali di numerosissimi indagati magari poi risultati innocenti.

E che la mattinata sia destinata a lasciare una scia nel dibattito non solo politico delle prossime settimane lo confermano pure le dichiarazioni dello stesso Salvi in materia di immigrazione. Considerazioni di carattere tecnico che però è difficile non ricollegare a quanto previsto dai cosiddetti decreti Sicurezza varati dall’allora governo gialloverde su cui il capo dello Stato Sergio Mattarella aveva avanzato qualche riserva all’atto della firma e che adesso il Partito democratico vorrebbe incisivamente rivedere. “Le scelte sulle politiche migratorie e di ingresso nel territorio dello Stato competono al legislatore e al governo”, ha evidenziato il procuratore generale che poi ha precisato: “Purché nel quadro di compatibilità con le norme costituzionali e pattizie, prima fra tutte l’obbligo che il nostro Paese ha assunto per la protezione internazionale di coloro che ne hanno potenzialmente diritto”. Un richiamo che a questo punto potrebbe imprimere un’accelerazione al processo di riscrittura dei decreti Sicurezza.

Così come è immaginabile che arrivi presto una nuova disciplina della prescrizione, quantomeno per mitigare la riforma varata anch’essa dai gialloverdi ed entrata in vigore il primo gennaio scorso, che ne impone lo stop dopo il primo grado di giudizio. D’altro canto le parole del primo presidente Giovanni Mammone sotto questo profilo sono state chiarissime: “Il blocco della prescrizione prolungherà la durata dei processi. Le vittime del reato vedrebbero prolungarsi i tempi di risposta della giustizia e del risarcimento del danno patito: è dunque auspicabile che intervengano concrete misure legislative”. In modo da velocizzare l’iter processuale ed evitare un rinvio sine die della definizione dei giudizi. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, presente in Cassazione, non si è scomposto (“la legge è una conquista di civiltà, il confronto è in corso”) anche se il commento del responsabile in materia del Pd, Walter Verini, fanno chiaramente intendere quanto i dem siano intenzionati a fare sul serio sull’argomento: “E’ necessario al più presto portare in Consiglio dei Ministri la riforma del processo penale e insieme giungere – come maggioranza – a una modifica vera della legge sulla prescrizione, per arrivare a una sintesi che tenga conto delle ragioni serie di tutte le componenti”. Le posizioni, insomma, sono ancora distanti.

 

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