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E intanto a Tripoli si muore. Così lo scenario libico si complica (ancora)

È tra i bombardamenti più tragici di questi nove mesi di guerra quello che stanotte ha colpito l’accademia militare di Tripoli. L’attacco ordinato dal signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, ha ucciso decine di persone, tutti molto giovani, ferendone diverse dozzine — al momento della stesura di questo articolo il bilancio è da ritenersi provvisorio, e i dati oscillano anche soggetti alla propaganda dei due schieramenti.

La guerra sta salendo di intensità. Il capo miliziano dell’Est che il 4 aprile scorso ha lanciato un’offensiva per conquistare la capitale, rovesciare il governo internazionalmente riconosciuto (il Gna) e intestarsi il paese come nuovo rais, non sfonda. E si sente pressato dall’entrata in gioco pesante della Turchia, che tre giorni fa ha deciso ufficialmente di inviare assistenza militare a Tripoli per respingere l’aggressione.

“In risposta al bombardamento turco” un attacco compiuto la mattina di sabato, “l’aviazione ha preso di mira un raggruppamento di cento miliziani presso l’Accademia militare che si preparavano a partecipare ai combattimenti in corso e almeno 70 fra loro sono stati uccisi”, scrive la pagina Facebook della Divisione informazione di guerra, collegata alle forze haftariane e account non nuovo a sparate propagandistiche. Tant’è che da Tripoli il numero ufficiale che viene comunicato è ben più contenuto per quanto comunque drammatico: 28 vittime e altrettanti feriti, scrive sui suoi profili social il vicepremier Ahmed Maitig, che si è recato sul posto. Ma è chiaro che potrebbero salire.

‎”La Missione delle Nazioni Unite condanna nei termini più forti i bombardamenti che hanno colpito il Collegio militare di Hadaba, a sud di Tripoli, e ha provocato decine di morti e feriti. Sottolinea che l’escalation crescente delle azioni militari in questo modo pericoloso complica ulteriormente la situazione. E minaccia le opportunità di tornare al processo politico“ scrive Unsmil sul suo profilo Twitter, evitando però di indicare l’autore dell’attacco.

L’Lna, acronimo internazionale dell’Esercito nazionale libico, come Haftar chiama in modo altisonante la sua milizia, ha ricevuto l’arringa del suo Feldmaresciallo. Haftar poche ore fa ha invitato i combattenti e gli abitanti della Cirenaica alla “jihad” — lo sforzo ultimo — e alla mobilitazione generale di “tutti i libici […] uomini e donne, militari e civili, per difendere la nostra terra e il nostro onore” contro il “brutale colonizzatore ottomano”, così ha definito la Turchia (che in Libia aveva una provincia durante l’Impero Ottomano).

Ha anche chiesto al popolo turco di ribellarsi al “maniaco sultano ottomano”, ossia il presidente Recep Tayyp Erdogan, che secondo Haftar starebbe attizzando “il fuoco della discordia nel mondo musulmano per soddisfare i suoi capricci”. Ma il suo discorso, al di là dei solito richiami alla guerra al terrorismo (per lui tutti i nemici sono terroristi così come i cadetti sono stati indicati come “miliziani”), è sembrato organizzato all’ultimo momento, con le bandiere libiche appese al contrario, l’Aquila dorata alle spalle non decorata completamente e lui che indossava una mimetica insolita.

Ieri il presidente francese, Emmanuel Macron, ha avuto una conversazione telefonica con il principe ereditario emiratino, Mohammed bin Zayed, e nel readout della telefonata si legge che i due hanno convenuto sulla necessità di spingere “con determinazione” per il cessate il fuoco in Libia. Poche ore dopo c’è stato il bombardamento contro i cadetti. Gli Emirati Arabi — oltre ai fondi per pagare i mercenari sudanesi che costituiscono parte importante degli haftariani — forniscono la copertura aerea indispensabile all’Lna: come già successo quest’estate per un centro di detenzione di migranti, è possibile che anche l’attacco aereo all’accademia sia stato condotto attraverso droni emiratini di fabbricazione cinese.

Martedì i ministri di Francia, Italia, Regno Unito e Germania, accompagnati dall’alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue, dovrebbero essere a Tripoli per una passeggiata diplomatica molto voluta da Roma e su cui il Gna non crede troppo. Il problema è anche tecnico: nelle ultime dodici ore, lo scalo Mitiga (l’unico che gestisce traffici internazionali) è stato chiuso sei volte perché gli aerei di Haftar lo stavano bombardando — e dunque c’è il rischio che i ministri europei non abbiano nemmeno un posto sicuro in cui atterrare.

(Foto: Twitter, il vicepremier Maiteeg tra i feriti)

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