I risultati delle elezioni amministrative in Emilia-Romagna non sono un buon segnale. Se ha vinto Bonaccini probabilmente lo deve a tre fattori: 1) ha amministrato bene e qualcuno ha deciso che non valeva la pena penalizzare una persona in gamba per lanciare un segnale politico; 2) le sardine hanno (ri)portato alle urne qualche punto percentuale di persone disilluse che non avevano più alcuna voglia di esprimere un voto per uno dei contenitori inguardabili ed inclassificabili (i partiti) della politica degli ultimi anni; 3) gli elettori non-di-centro-destra si sono catalizzati sul PD, decretando la (momentanea?) scomparsa del M5S.
Il pericolo di queste elezioni è che adesso ci si soffermi sulla retorica del successo del Pd e della sconfitta di Salvini, considerandola come l’inizio della fine del populismo, della volgarità e della violenza verbale in politica. Sarebbe un errore.
Il paese è sempre più fragile. Per quanto in molti evidentemente oggi siano felici della scomparsa del M5S, avere al Governo una forza sostenuta dal 32% dei parlamentari che rappresenta il 5% della popolazione (a spanne) non è il massimo della stabilità. Avrà buon gioco chiunque sostenga che il governo rimarrà in carica solo per non mandare a casa qualche centinaio di parlamentari; e i problemi fra gli alleati di governo sono destinati a peggiorare. Le elezioni hanno cioè aggravato la questione dell’identità del M5S; e certo non hanno risolto i problemi interni ad un centro-sinistra che rischia ogni giorno nuove frammentazioni.
L’incertezza, insita in questo quadro, non solo non è diminuita, ma è aumentata. E se c’è una cosa che danneggia pesantemente l’economia è l’incertezza. Il motore dell’occupazione e dello sviluppo di un paese – cruciali per la sua tenuta sociale e democratica – sono gli investimenti, soprattutto quelli privati. Ma gl’investimenti non sono una variabile meccanica, che può essere manovrata con una leva. Nemmeno col costo del denaro, in particolare in un contesto di tassi d’interesse a (o prossimi a) zero. Dipendono in maniera decisiva dalle aspettative; dalla percezione degli imprenditori sulle prospettive generali dell’economia.
E gli imprenditori non possono che essere preoccupati, quindi cauti; più pronti ad imbarcarsi in operazioni speculative che ad investire risorse in attività reali.
Naturalmente, la maggior parte degli investitori non guarda unicamente al quadro nazionale, collocandosi spesso su un mercato europeo e mondiale. Ma anche lì le cose non vanno certo bene. Le guerre commerciali latenti fra Usa e Cina, la crisi del multilateralismo, l’urgenza di finanziare e fornire beni pubblici globali in mancanza di un sistema efficace di formazione della volontà collettiva non inducono all’ottimismo. Né è possibile guardare con fiducia ad un percorso di crescita europea in un sistema intergovernativo di veti incrociati, in cui la revisione delle competenze/politiche è affidata ad una Conferenza sul Futuro dell’Europa che si preannuncia calata dall’alto ed ininfluente, piuttosto che occasione di democrazia partecipativa.
Insomma, se è vero che l’Emilia Romagna si è “salvata”, salvando probabilmente anche le sorti del Governo Conte II, almeno per ora, se non ci sarà un cambio radicale di visione strategica, di azione politica e quindi un nuovo clima di fiducia generalizzata nel futuro, l’Italia sarà destinata a rimanere ancora una volta indietro nei grandi processi evolutivi internazionali. Così come l’Europa, in mancanza di un cambiamento di rotta deciso verso la forma costituzionale di una democrazia multilivello, continuerà a subire, piuttosto che a guidare, tali processi.
È urgente un’azione comunicativa che, così come le sardine hanno fatto con le piazze, spinga milioni di persone a pretendere standard più elevati di serietà dalla nostra classe politica, dell’informazione pubblica, e del dibattito sui grandi temi dell’oggi. Un’azione volta a far acquisire agli italiani ed alle loro classi dirigenti una nuova e più matura consapevolezza del rapporto, ineludibile, fra la dimensione sovranazionale (mondiale, al massimo europea) della maggior parte dei problemi, e la dimensione nazionale della democrazia; dell’interdipendenza crescente che richiede audaci innovazioni istituzionali, non inutili ed anacronistici tentativi di chiudersi alle influenze esterne. Per capire e gestirne i fenomeni in continua evoluzione, prima di esserne spazzati via. La sfida inizia adesso.