Il governo dei presunti tecnocrati, nato dopo un mese di durissimi e anche espliciti scontri tra i partiti della coalizione alleata di Hezbollah, la cosiddetta coalizione dell’8 marzo per via del giorno in cui si radunarono per ringraziare la Siria della protezione offerta al Libano poco dopo l’assassinio di Rafiq Hariri, è in carica a Beirut.
Per rendersi conto di cosa è successo nel frattempo si deve tener conto che la valuta libanese era cambiata dalla fine della guerra civile a 1500 per un dollaro. Oggi si va a quota 2000 e nessuno ritiene possibile tornare indietro. La colpa ovviamente è di tutti, visto che la storia recente è fatta quasi sempre da governi di unità nazionale che ricordavano ai libanesi più i comitati d’affari che gli esecutivi. Ma di nomi qualificati nel nome esecutivo se ne vedono pochi. Se tutti attribuiscono ai ministri delle finanze e degli esteri forti credenziali, nessuno dubita dei loro noti legami politici con il presidente della Camera, Berri, e il ministro degli esteri uscente, il genero del presidente in carica. Lo stesso premier, Hassan Diab, è sì un professore universitario ma venne lanciato in politica, come ministro, anni fa, quando si trattò di trovare sunniti graditi ad Hezbollah, per dar vita ad un governo anti-Hariri. Poi c’è il caso, molto italiano, del titolare del dicastero della sanità: social e media parlano di falsificazione della sua tesi di laurea. Smentirà, ma per un tecnico non è un buon inizio.
La composizione della lista di governo, nel tentativo di dare una risposta alla piazza che oltre a ministri tecnici chiedeva anche meno ministri, ha prodotto risultati comunque esilaranti, come la nomina di un ministro per cultura e agricoltura. Lui poi, il titolare delle due poltrone, non sembra proprio un tecnico, visto che ha lavorato nel mondo immobiliare. Ma tra le migliaia di accuse, critiche e anche ironie che circolano in queste ore in Libano sulla nuova compagine governativa una va considerata come molto seria, documentata e politicamente rilevante. La nuova titolare del dicastero della Difesa, Zeina Aktar, si è occupata di scienze sociali ma soprattutto ha trascorsi nel Partito Nazionalista Sociale Siriano, una forza politica con evidenti legami politico culturali resi espliciti dal nome. Attivo tra Siria e Libano, questo partito, considerato laico nel senso che non ha legami con le tradizioni religiose, non certo per laicità, ha avuto legami con tendenza golpiste fin dagli anni Sessanta.
Il Libano sull’orlo del default economico ha dunque un governo alleato se non allineato con l’Iran, non proprio il partner economico più solido oggi, e questo potrebbe avere un peso con l’Arabia Saudita, scomparsa dalla scena politica libanese che usava influenzare, con gli Stati Uniti, che nelle istituzioni internazionali pesano, e un team di esperti al comando che non sembra proprio essere un “dream team”.
Poi spicca la crisi della leadership cristiana. Se due partiti cristiani stanno chiaramente all’opposizione, i due che la sostengono, schieratissimi entrambi al fianco del siriano Assad e del mondo khomeinista che fa capo a Hezbollah, hanno litigato anche pubblicamente, accusandosi di tutto e paralizzando la politica per una settimana solo per via delle loro dispute sui portafogli. Il patriarca maronita li ha definiti “nemici del Libano”, visto che il Paese aveva urgenza di risposte, e lo spettacolo offerto veniva definito dai più come “indecoroso”. Questa perdita di credibilità, in un momento davvero drammatico per il Paese, è grave al punto che quando Gebran Bassil, capo del principale partito cristiano e ministro degli esteri uscente, ha confermato che sarebbe andato a Davos, è stato sollecitato da decine di migliaia di persone nel giro di poche ore a farsi da parte dopo aver sottoscritto tutte le decisioni più gravi per il Paese e le sue finanze.
Infine c’è il futuro? Hezbollah, vero king maker del nuovo premier e del nuovo governo, è parso fino alla fine preferire in realtà un esecutivo politico esteso a tutti, anche ai partiti che non hanno accettato di entrare a farne parte. Perché? Quel che sappiamo è che giorni fa il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha detto che toccherà a lui vendicare la morte di Soleimani. È questo l’esecutivo che può gestire oltre all’emergenza economica anche questa, forse addirittura più grave dell’altra?