Le diplomazie di Italia e Regno Unito hanno presentato ieri una dichiarazione congiunta per condannare la chiusura dei pozzi petroliferi libici del sud-est, ordinata nei giorni scorsi dall’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, ma la Francia l’ha bloccata in sede Ue. Sulla risoluzione c’era anche il consenso americano, arrivato dopo richiesta esplicita del governo di Tripoli, Gna. Si chiedeva di condannare il fatto che “la Noc (la compagnia statale del petrolio, ndr) sia stata obbligata a sospendere le operazioni in installazioni critiche in tutta la Libia” e “l’immediata riapertura degli impianti”.
Era in termini piuttosto edulcorata, ma Parigi l’ha sabotata lo stesso. Ha chiesto che venissero coinvolti nell’iniziativa Grecia e Cipro, due Paesi che non hanno ambasciate in Libia che però la Francia aggancia al dossier allargando il quadro alla partnership che sta costruendo con loro sul quadrante EastMed – concatenato alla crisi libica, ancora di più da quando la Turchia s’è schierata, anche per questo, con Tripoli.
Non bastasse, i diplomatici francesi hanno praticamente avallato la chiusura dei pozzi sostenendo che c’è il rischio che il petrolio finisca in mano ai “terroristi”. Ossia hanno usato esattamente la stessa retorica haftariana. Quella con cui l’autoproclamato Feldmaresciallo dell’Est descrive qualsiasi tipo di nemico in Tripolitania. Tutto avviene appena due giorni dopo il successo diplomatico della riunione che ha portato a Berlino diversi leader globali per decidere il prolungamento di un flebile cessate il fuoco in Libia.
Le speranze che l’accordo Made in Germany potesse funzionare erano basse, proprio perché il giorno precedente all’incontro Haftar aveva fatto in modo di bloccare i pozzi petroliferi, attraverso le tribù locali. Un metodo per strangolare Tripoli, dato che il sistema economico pubblico della Libia dipende quasi completamente dalle entrate del petrolio (la chiusura dei pozzi ha portato le produzioni dagli 1,2milioni di barili ad appena 70mila giornalieri).
“Si tratta di un’azione di livello superiore rispetto allo scontro armato al sud della capitale – spiega una fonte dall’interno del Gna – e non si capisce perché l’Ue, che sul petrolio libico ha interessi diretti, non sia uscita con una condanna forte contro le mosse di Haftar. O almeno lo facciano quei Paesi più coinvolti”. Il riferimento va all’Italia chiaramente: uno dei due oleodotti chiusi domenica dagli uomini di Haftar – mentre la Conferenza era in corso – porta il petrolio dalla regione meridionale del Fezzan verso gli impianti Eni di Mellitah (parte infatti dal campo El Feel, il più importante per l’azienda italiana).
Il vicepresidente della commissione Esteri della Camera, Paolo Formentini (Lega), commenta in un comunicato via mail:”Conte dov’è? L’Eni sta subendo danni ingenti dal blocco petrolifero in Libia. Una situazione gravissima che la Francia sta ulteriormente peggiorando sabotando la dichiarazione congiunta dei paesi occidentali contro questa decisione assurda. Il presidente del Consiglio mostri una buona volta la schiena dritta. Serve una soluzione concreta, che tuteli gli interessi del nostro paese”.
Più tardi, dopo che la questione era circolata sui media – e sotto pressing da diversi lati, ci dicono fonti dal governo – il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha diffuso una dichiarazione: “Dobbiamo evitare iniziative di questo genere, quindi dobbiamo fermare non solo azioni militari, ma anche azioni come queste che possano mettere a repentaglio il recupero di risorse energetiche. Sono azioni che possono alterare il clima non meno delle opzioni militari, e io confido che anche su questo si possa ritrovare una piena convergenza tra tutti i paesi”.
A Tripoli intanto si è tornati a combattere. D’altronde la tregua era stata una decisione esterna, le due parti libiche – entrambe presenti in Germania – avevano rifiutato qualsiasi genere di incontro. E anzi, Haftar sembrava uscire con un successo internazionale dall’incontro tale da giustificare le volontà di spingere per conquistare Tripoli – intento in cui è impegnato da dieci mesi – e prendersi tutto il Paese.
Con lui l’Egitto e soprattutto gli Emirati Arabi, che hanno da sempre sponsorizzato la sua campagna militare. Un comandante dell’Lna ha detto oggi al quotidiano panarabo Asharq al Awsat che “la tregua annunciata domenica 12 gennaio (su cui si basava l’intesa di Berlino, ndr) è ufficiosamente crollata”. Non è tanto interessante la dichiarazione in sé, dato che solitamente le voci dalla Libia sono zeppe di propaganda, ma se si considera che Asharq al Awsat viene pubblicato da Londra da una proprietà saudita, si capisce qual è il messaggio che l’allineamento haftariano intende far uscire in questo momento.
Pozzi chiusi, armi in pugno. Con la Francia che fa di nuovo il doppio gioco: l’altro ieri a Berlino il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian, commentava che dopo la riunione “L’Europa ha riguadagnato il controllo” sulla crisi, ma Parigi si muove sull’allineamento dietro Haftar perché egiziani ed emiratini sono paesi con cui i francesi hanno molti collegamenti militari. Ma anche perché intendono sfruttare la situazione per destabilizzare la leadership della Noc e della Banca Centrale libica, in modo da poter entrare con maggiore influenza sui lavori miliardari previsti per aggiornare la rete petrolifera, spiega una fonte del Gna a Repubblica.
Dalla Siria invece arrivano altre notizie collegate: anche nelle ore della Conferenza, i miliziani che la Turchia intende spostare in Libia per combattere sul lato del Gna, e contro l’allineamento Egitto-Emirati (e Arabia Saudita), si sono continuati ad arruolare. Sono volontari ben pagati. Stando ai numeri che circolano, per loro duemila dollari mensili di compenso, un’assicurazione di 50mila dollari che andranno alle famiglie in caso di morte e 35mila per invalidità gravi subite in combattimento.
Nessuno dei due fronti sembra interessato a fermarsi, anzi, le azioni sul petrolio possono far pensare a un allargamento del quadro. La Turchia ha stretto con Tripoli un accordo per unire le rispettive Zone economiche esclusive e tagliare la connessione marittima dei paesi di EastMed (Egitto, Cipro, Grecia, Israele), che Ankara considera come ostili. I turchi, a testimonianza di questi allargamenti, hanno annunciato che intendono inviare una nave per esplorazioni petrolifere al largo della Somalia. Potrebbe essere anche semplicemente un’azione di disturbo in un’area su cui gli emiratini hanno forti interessi .