C’è un se potenziale visti vari precedenti, ma se domani a Mosca ci sarà la firma congiunta sulla tregua libica, Vladimir Putin lo userà per dipingersi come player diplomatico di primissimo livello. Secondo fonti libiche infatti, se tutto procede secondo l‘organizzazione delle ultime ore, il premier Fayez Serraj e il capo miliziano della Cirenaica, Khalifa Haftar, domani dovrebbero essere nella capitale russa per firmare il documento per la tregua che potrebbe servire da forma di implementazione al cessate il fuoco attivo dalla mezzanotte di domenica. La pausa dei combattimenti è debolissima, e oggi pare che in alcune linee del fondo ci siano state delle violazioni. Ma per ora regge.
Sul piano tecnico, il passaggio di Mosca è molto importante, perché i leader più rappresentativi, quello del blocco internazionalmente riconosciuto con sede a Tripoli e l’aggressore, saranno accompagnati da due figure molto importanti in Libia. Uno è Agila Saleh, presidente della Camera dei Rappresentanti, l’ultima istituzione regolarmente eletta dai libici, il parlamento auto-esiliatasi subito a Tobruk da dove avrebbe dovuto fornire la fiducia politica al governo Serraj (secondo il piano dell’Onu) — ma non l’ha mai fatto, spostandosi via via su posizioni haftariane, molto influenzate dall’Egitto. L’altro è Khalid Almishri, presidente dell’Alto Consiglio di Stato, organo consultivo del Consiglio presidenziale di Serraj formato secondo le prescrizioni dell’Lpa (acronimo del percorso politico che nel 2015 l’Onu aveva previsto per salvare la Libia); è il leader di Hizb Al-Adala Wal-Bina, partito affiliato alla Fratellanza musulmana.
La presenza dei due, uno l’antitesi dell’altro, è importante perché rappresentano due anime profonde del paese: la Cirenaica, che da sempre ha un rapporto a doppio filo con l’Egitto; la Tripolitania che ha invece collegamenti — anche grazie alla Fratellanza, che in Egitto è stata bandita come organizzazione terroristica — con un allineamento guidato dalla Turchia.
Ankara ha un ruolo chiave anche in questi passaggi, dopo che ha promesso aiuto militare alle milizie che difendono Serraj, soprattutto a quelle di Misurata (legate anche alla Fratellanza), ha poi pressato per il cessate il fuoco. Oggi Serraj ha visto il presidente Recep Tayyp Erdogan (che domani vedrà il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte). I turchi hanno giocato la loro partita insieme alla Russia: domani i ministri di Esteri e Difesa e il capo dell’intelligence turchi saranno anche loro a Mosca. La capitale russa col passaggio di domani diventa il fulcro della crisi.
Putin — che nel pomeriggio di sabato si è speso personalmente con Haftar per fargli accettare il cessate il fuoco per primo — incassa un dividendo politico importante dallo schieramento non formale, ovviamente, di un gruppo dei contractor gestito da una società vicina al Cremlino che hanno aiutato Haftar in alcune fasi, ma poi sembra si siano ritirati negli ultimi dieci giorni.
I passaggi successivi all’incontro di domani non sono delineati, e appaiono piuttosto complicati. Una fonte governativa libica spiega che bloccare i combattimenti “è positivo, ma bisogna capire quel che succederà”, perché per Tripoli la tregua sarà durevole soltanto se Haftar si ritirerà dalla Tripolitania — ma è del tutto evidente che l’uomo forte dell’Est per ora non ha intenzione e convenienza a lasciare le posizioni conquistate.
Tuttavia, se alla Russia — e alla Turchia — riuscirà di concretizzare l’incontro di Mosca come previsto sarà un colpo duro al tentativo europeo di giocare un ruolo centrale ella partita attuale. Si scrive “se” perché già la scorsa settimana a Roma s’è tentato di organizzare un doppio meeting con Haftar e Serraj a Palazzo Chigi, ma quando il secondo ha fiutato che avrebbe potuto incontrare in miliziano ribelle, non si è presentato all’appuntamento con Conte. Ma ora sembra che l’azione di Ankara e Mosca abbia cambiato il quadro.
Dunque se ci sarà il vertice moscovita, allora si potrebbe anche trattare della concretizzazione della volontà russo-turca di avviluppare la crisi libica, giocando un ruolo (apparentemente ostile) su entrambi i fronti per poi poter usare la situazione con l’Europa,e cercare partite di scambio. La crisi libica è anche questo: un grande test per l’Ue, che nelle difficoltà di creare una linea univoca e un’azione efficace, trova l’ostacolo creato dall’interferenza proattiva di due competitor. Possibile che domani si decidano accordi in forma preliminare, per poi lasciare definizioni più ampia alla conferenza di pace che si sta organizzando a Berlino. Turchia e Russia potrebbero aver l’intenzione di usare la crisi libica come leva ma evitando rotture con Bruxelles.