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Dalla tragedia della Libia alla farsa dell’Italia. Il commento di Alegi

“Io ho solo bisogno di avere alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori”. Secondo il maresciallo Badoglio, nel giugno 1940 Mussolini gli avrebbe spiegato con queste parole la decisione di entrare nella Seconda guerra mondiale. Per Badoglio la frase descriveva l’essenza di un Mussolini consapevole dell’impreparazione militare ma disposto a tutto per comparire accanto a Hitler nella foto di gruppo. Questa lettura è passata nella vulgata come espressione di sciacallaggio. Ma a ben guardare il suo significato è diverso e di stretta attualità.

L’esigenza di entrare in guerra per sedere al tavolo dei vincitori certificava il fallimento della politica estera della seconda metà degli anni Trenta. Il passaggio dallo schieramento che aveva vinto la Prima guerra mondiale – Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti – a quello che l’aveva persa – la Germania – aveva fatto imboccare all’Italia una strada senza uscita. Le vittorie in Etiopia e in Spagna e l’annessione dell’Albania erano parse dar ragione a Mussolini. L’attivismo di Hitler aveva però precipitato la crisi degli equilibri di Versailles, che l’appoggio italiano aveva accelerato senza duraturi vantaggi. Renania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Danimarca, Norvegia, Francia: l’espansione tedesca riempiva la carta geografica europea, marginalizzando proprio l’alleato italiano, che perdeva ogni spazio di manovra e ogni prospettiva di autonomia politica.

Il riaffacciarsi della Turchia in quella Libia dalla quale proprio l’Italia l’aveva espulsa 110 anni fotografa un cul de sac per molti versi simile. L’Italia, sganciatasi dal gruppo di testa dell’Europa corteggiando prima la Gran Bretagna (per bilanciare l’asse franco-tedesco, un’idea che, se avesse funzionato, avrebbe forse potuto evitare la Brexit) e poi i nazional-sovranisti, si trova oggi esclusa dai tavoli che stanno ridisegnando il Mediterraneo, la sua economia e i suoi equilibri. Pochi anni – in alcuni casi, mesi – di avventurismo, velleitarismo e dilettantismo hanno portato il Paese in una situazione difficilissima.

Nel 1940 Mussolini decise di scendere in guerra con Hitler non per portargli un aiuto del quale non aveva bisogno ma per imbrigliarlo – o almeno contenerlo – durante le trattative armistiziali. Di qui la scelta di restare sulla difensiva, l’inspiegabile rinuncia ad attaccare Malta e, al contrario, l’attacco invernale alla Grecia e la presenza in Russia. Più che partecipare alla spartizione delle spoglie, Mussolini cercava insomma di limitare i danni di un successo unilaterale del suo alleato. In altre parole, la guerra parallela e l’alleanza competitiva mascheravano innanzi tutto la contraddizione intrinseca dell’alleanza tra nazionalismi. Sappiamo come andò a finire: travolta dalle proprie fragilità militari, economiche, industriali (e naturalmente politiche e dinastiche), nel 1943 l’Italia fu la prima potenza europea a crollare, due anni prima della Germania.

Ottant’anni dopo, lo stesso disastro potrebbe scaturire dal rifiuto di schierarsi e di prendere decisioni difficili sulla Libia. L’esclusione aprioristica di ogni intervento armato, fosse pure di interposizione, esclude infatti l’Italia dai tavoli decisionali, lasciando che siano gli altri a ridisegnare l’ex “mare nostrum”. Pur di non recidere il legame con la Francia, con una decisione soffertissima nel 2011 l’Italia aprì spazi aerei e basi per l’attacco alla Libia. Subito dopo, ottenne che l’operazione fosse guidata dalla Nato, limitando il danno e salvando le raffinerie dell’Eni. L’intervento era andato, insomma, nella stessa direzione immaginata da Mussolini: allearsi per frenare.

E oggi? Tagliati i ponti con i governi europeisti, scopriamo che in Libia i nazional-sovranisti ai quali molti guardano con simpatia stanno facendo rigorosamente gli interessi dei propri Paesi e non dell’Italia (sorpresa?). E che Giuseppe Conte, come Mussolini, si trova schiacciato innanzi tutto dai suoi amici, senza altra opzione che quella militare, che la maggioranza giallo-rossa esclude per principio. Come il suo predecessore, si trova con le casse vuote (allora per le spese di due guerre, oggi per il debito pregresso) e con un ministro degli Esteri tanto vanitoso quanto di limitata utilità. All’orizzonte, ieri come oggi, il disastro. La differenza sta forse nel fatto che mentre nel 1940 la sconfitta fu innescata dall’intervento, nel 2020 potrebbe venire dall’inazione.

Ma non diceva forse Marx che “La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”?

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