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La mossa (d’immagine) della Turchia prima del voto sulla Libia

Alla vigilia del dibattito parlamentare sull’invio di aiuti militari a Tripoli, da Ankara filtra apparente circospezione. Prima il ministro della Difesa e poi il vicepresidente hanno dichiarato che l’arrivo di soldati – un piano che prevederebbe 5000 effettivi con vari mezzi, e 1600 miliziani spostati dalla Siria – potrebbe essere rimandato. Ma a una condizione: il signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, deve ritirarsi e fermare l’offensiva con cui nove mesi fa ha avviato la campagna per conquistare la capitale e rovesciare il Governo di accordo nazionale (l’esecutivo internazionalmente riconosciuto creato sotto egida Onu tre anni col tentativo di rappacificare il paese).

“Dopo che la mozione sarà approvata dal Parlamento (dando appunto per scontato il voto favorevole di domani, ndr) potrebbe accadere che vedremo qualcosa di diverso, un diverso atteggiamento (da parte di Haftar, ndr) e diranno, ok, ci tiriamo indietro, rinunciando all’offensiva“, ha detto Fuat Oktay, in un’intervista all’agenzia Anadolou: “E allora, se così fosse perché dovremmo andare lì?”.

La dichiarazione del vice di Recep Tayyp Erdogan sembra più che altro un modo per salvaguardare l’immagine e inquadrare l’appoggio militare turco a Tripoli sotto un’ottica più potabile. L’invio del contingente avverrebbe sotto il quadro giuridico di un accordo stretto il 27 novembre da Erdogan stesso con il capo del Consiglio presidenziale libico, Fayez Serraj. Ma ha dei limiti legali sul piano internazionale: sulla Libia vige dal 2014 un embargo Onu sulle armi. Poi c’è il rischio politico di aumentare la destabilizzazione regionale.

Soprattutto è altamente improbabile che Haftar decida di fermarsi. Sebbene l’assistenza militare turca – se le informazioni sul contingente dovessero essere confermate dai fatti – potrebbe essere determinante per la difesa pro-attiva della Tripolitania, il capo milizia dell’Est ha scommesso tutto sulla campagna di Tripoli. Difficile che accetti una sconfitta, e che sia spaventato da un deterrenza turca che in realtà è tutta da valutare sul piano pratico.

Poi c’è l’incognita attori esterni: Russia in parte, Emirati Arabi Uniti ed Egitto con ben più consistenza stanno aiutando Haftar da diversi anni e assistono la sua offensiva. Cosa decideranno di fare davanti alla dichiarazione di invio di militari turchi è un altro elemento: accetteranno di aumentare anch’essi il coinvolgimento supportando il loro cavallo in gara, oppure accetteranno qualche genere di compresso con Ankara?

Lunedì la Lega Araba – presieduta in questo momento dal capo di stato egiziano, il generale Abdel Fattah al Sisi – s’è riunita d’emergenza per analizzare l’imminente decisione turca e con un comunicato sollecitato le parti in conflitto a non fare nulla che possa permettere il dispiegamento di truppe e combattenti stranieri in Libia. Oggi il governo turco ha attaccato l’istituzione internazionale regionale accusandola di rimanere “silente” senza “[dare] sostegno al governo legittimo” di Tripoli.

Intanto la guerra non si è fermata nemmeno la notte di Capodanno. In questo momento le discussioni sugli aiuti esterni – che potrebbero arrivare a Tripoli, ma anche sul lato haftariano – hanno infiammato i combattimenti dopo che per mesi il fronte è rimasto fermo. Almeno tre civili sono stati uccisi nella serata di ieri mentre si spostavano in macchina a lungo una strada di Sawani, cittadina nella fascia meridionale della capitale: li ha centrati un bombardamento haftariano finito fuori target.


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