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Phisikk du role – Così parlò Checco Zalone. Il vero messaggio politico (e bergogliano) di Tolo Tolo

Se la commedia all’italiana, quella storica dei Monicelli, Risi e co., ha un contenuto morale e un involucro con scintillii cialtroneschi – e non parliamo di sottoprodotti contemporanei in cui l’involucro è anche il contenuto – Checco Zalone si è infilato dritto dritto nel suo filone più nobile, avendo come modelli Alberto Sordi borghese piccolo piccolo e Roberto Benigni, pinocchio dispettoso e innocente. L’ha fatto con tanta consapevolezza da permettersi il lusso di mettere in giro un trailer cialtronesco che col film non c’entra neanche un millimetro. Ho sentito urla sdegnate per quella canzoncina zaloniania così tanto farcita con la gamma possibile del sottocorticalismo xenofobo da risultare verosimile (con l’aria che tira…).

Invece Checco giocava a depistare: sembrava strizzare l’occhio al popolo sovranista e invece ha lanciato un messaggio bergogliano. Andiamo per ordine. La scelta del momento d’uscita, Capodanno, è solo un ossequio apparente al rito che ha accompagnato alcuni suoi film, che segnavano un’ orgogliosa distanza dai cinepanettoni mettendosi in coda al Natale, come la scia della cometa. Certo ci azzecca parecchio: 9 milioni di euro il primo giorno e i lucciconi di Pietro Valsecchi che pregusta lo sfondamento dei 65 milioni di “Sole a Catinelle”, l’incasso zaloniano record fino a ieri. Ma, furbizie del marketing a parte, questo film – il primo da regista di Luca Medici – è davvero un’operazione intrigante in cui il Checco giullare, creatore della fortunata maschera del “Cozzalo Integrale”, archetipo antropologico dello zotico puro, senza contaminazioni della cultura “alta”, ma con moltissimi debiti nei confronti della tivù e della pubblicità, “prende coscienza”, come si diceva una volta, e si muta.

Ecco: “Tolo Tolo” è l’epifania di un mutamento che compie il miracolo di tenere dentro il popolo degli adoranti zaloniani, cambiando, però, non il registro narrativo, che resta quello sperimentato della costellazione di gag, ma il progetto finale. Laddove la gag fino a ieri esauriva onestamente il suo compito con lo scoppio della risata, nel nuovo film invece ambisce a concatenarsi con le altre fino a tracciare un monito. Una morale. Il gioco dello sconvoglimento dei contesti ha già dentro una buona dose di effetto straniante che, per ciò stesso,induce a riflessione : Checco emigrato in Africa, unico bianco guardato e toccato con curiosità dai bambini neri, la fuga dall’occidente con le sue regole e le sue tasse e le sue ex mogli affamate di soldi, il ritorno in occidente nel barcone, unico bianco in mezzo a tanti neri. Non dispiace neanche il mescolamento dei generi: in certi passaggi c’è la gioiosa adesione alle forme della commedia musicale (le musiche sono sempre le sue) con tanto di cartoni animati (rimembranze marypopponsiane?), senza abbandonare il cinismo delle canzoncine sguaiate che hanno fatto la fortuna del personaggio.

Ma la novità assoluta è la politica. Luca Medici, che ha voluto incarnare la fede qualunquistica dell’italiano medio, tutto cinismo e sovrastrutture mentali costruite dalla sottocultura del pregiudizio, porta a scuola di civiltà Checco Zalone e lo fa dal lato più complicato e difficile da digerire:quello della caduta del pregiudizio razziale. Non è cosa da poco, usando sempre lo stesso strumento per comunicare col pubblico. Che, per quel che se ne comprende, sta correndo a rotta di collo per andare a vederlo. Che sia nata una nuova stella? Politica?

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