Vladimir Putin colpisce ancora. Le dimissioni del governo di Dmitrij Medvedev alla vigilia dell’imponente riforma costituzionale aprono un ventaglio di scenari sul futuro del Cremlino e del suo zar. Ecco una panoramica con Giovanni Savino, senior lecturer presso l’Istituto di scienze sociali dell’Accademia presidenziale russa dell’economia pubblica e del servizio pubblico a Mosca.
Savino, come è stato accolto a Mosca l’annuncio di Putin?
Con grande stupore, nessuno se lo aspettava. Era stata preannunciata, in modo insolito, la proiezione del discorso del presidente su quattro maxi-schermi, ma nessuno immaginava una cosa del genere. Anche i ministri sono rimasti spiazzati.
C’è già il successore di Medvedev: Mikhail Mishustin.
Viceministro per le tasse nel 1998, era a capo del corrispettivo russo dell’Agenzia delle Entrate. Prosegue la politica di mettere tecnici al governo. Medvedev in fondo era un giurista. Probabilmente con questa scelta Putin ha voluto prendere in controtempo le élites a Mosca.
Circolavano altri nomi?
Sergej Sobianin, sindaco di Mosca, burocrate di lungo corso, ex governatore della regione di Tyumen, era considerato il candidato naturale. Non è da escludere che abbia pagato lo scotto di una gestione non ottimale delle proteste che la scorsa estate hanno attraversato la capitale.
Ora che succede?
La prima novità della riforma annunciata da Putin è l’istituzione di un rapporto fiduciario fra Primo ministro, governo e la Duma. Non è mai esistito in Costituzione. Negli anni ’90 è capitato più volte che Eltsin proponesse un governo e la Duma non lo confermasse, ma l’esecutivo entrava comunque in carica.
Quindi?
La Duma, un’istituzione molto screditata agli occhi dei russi, ne esce rafforzata. La crisi di immagine del Parlamento era già emersa in occasione delle contestazioni del 2011, poi nel 2016, quando il trionfo di Russia Unita ha fatto il paio con una bassissima partecipazione al voto. Ora si apre una transizione.
È un unicum?
Non ci sono molti casi simili. Si può citare il Khazakistan, dove Nursultan Nazarbaev, governatore del Paese per trent’anni, ha fatto un passo indietro ma solo parzialmente, tenendo sotto il suo stretto patrocinio il successore. O ancora l’Iran, con la figura dell’Ayatollah Ali Khamenei.
C’è chi cita Xi Jinping, il presidente cinese che si è eternato nella Costituzione.
Il paragone non regge. In Russia non esiste una struttura partitica alla base del governo comparabile al Partito comunista cinese, che è al potere dal 1949. Non dimentichiamo che l’attuale Costituzione russa non è stata plasmata da Putin, ma da Eltsin.
Putin cercherà di rimanere oltre la scadenza del 2024?
Potrebbe diventare il “padre nobile” della nazione, ricoprire la figura del vecchio saggio che guida il Paese senza legarsi al voto. Si tratterà con ogni probabilità di una transizione rapida. La presidente della Commissione elettorale centrale Ella Panfilova ha detto che potrebbe non esserci un referendum.
C’è anche un calo dei consensi dietro lo scatto del presidente?
Sicuramente Putin vuole tornare a occuparsi di politica interna. Dal 2014, anno dell’annessione della Crimea, la sua figura è rimasta proiettata sulla scena internazionale. Ne ha risentito in termini di popolarità.
Eppure qualche vittoria l’ha portata a casa. Con la guerra in Siria, ad esempio.
Vero, ma le vittorie all’estero hanno solo un effetto estemporaneo. E vengono presto messe in ombra dai problemi dell’economia.
Quali?
I salari non crescono, i due settori dell’export che più contribuiscono alla crescita russa, petrolio ed armi, stanno rallentando, e così l’innovazione. Per non parlare della crisi demografica.
Continui.
Gli esperti russi sono concordi: il Paese è in una “fossa demografica”. La popolazione si riduce ogni anno. Putin in Parlamento ha ricordato che servono investimenti sociali, e annunciato nuovi incentivi alla natalità, si parla di 300-400mila rubli per il primo figlio, cifre modeste.
Sul piano internazionale cosa cambia?
C’è una questione legale che può influire sulla politica estera del Paese. La Costituzione russa prevede infatti la prevalenza del diritto internazionale su quello russo. Chi in questi anni è stato vittima di decisioni giudiziarie in Russia e ha fatto ricorso a organismi internazionali come la Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo, ndr), ad esempio Alexei Navalny, ha ricevuto compensi importanti. Dopo la riforma la Russia potrà decidere discrezionalmente se accettare o meno queste decisioni.
Perché proprio ora?
C’è alla base un complesso psicologico verso un’altra grande potenza: gli Stati Uniti. Gli americani riconoscono la sola giurisdizione federale, non si sottopongono alle sentenze dell’Aja, della Cedu e delle altre corti internazionali. Non escludo che questo sia un tentativo di colmare il gap di immagine.