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Il piano di Trump è difficile ma vantaggioso. Nirenstein spiega perché

Addio al controverso piglio che ha prodotto l’accordo di Oslo e le successive premesse legate al falso tema “pace in cambio di terra”. Battezza così il piano di pace americano per il Medio Oriente Fiamma Nirenstein, giornalista, scrittrice e tra le altre cose membro del Jerusalem Center for Public Affairs (Jcpa), che affida a Formiche.net la sua lettura analitica sulla proposta del presidente Donald Trump. Ma nella settimana della Giornata della Memoria prosegue la tolleranza verso la demonizzazione sistematica degli ebrei da parte dell’Autorità Palestinese.

Anche l’Arabia Saudita dice sì al piano di pace di Trump: quali i cardini della proposta americana?

La proposta americana ha sostanzialmente delle caratteristiche positive, perché si basa sulla verità storica. Certamente presenta una serie di difficoltà per essere implementata, che sono contenute nella realtà storica stessa. In sostanza Trump smantella il più grande equivoco di sempre del passato, basandosi sull’accordo di Oslo del 1993, e dopo che dal 1948 al 1967 i famosi “tre no” hanno impedito un accordo, nonostante fossero state avanzate le più larghe offerte.

Cosa c’era di sbagliato nei piani del passato?

Da allora tutti i progetti di pace sono stati fondati su una falsa assunzione: ovvero che l’annessione di terreni in cambio di pace potesse funzionare. Al contrario, la storia ha dimostrato incessantemente che non era questo il nocciolo. Vi era da parte palestinese una determinazione al rifiuto, con di volta in volta l’appoggio di alcuni pezzi del mondo arabo.

Per quali ragioni?

Perché basato sull’assunto, allora, di una determinazione ideologica da parte del mondo arabo e del popolo palestinese a puntare sulla sparizione dello Stato di Israele, rifiutando lo Stato ebraico, incrementando sempre di più la richiesta del cosiddetto diritto al ritorno: un passaggio senza paralleli e senza precedenti in tutta la storia contemporanea.

Quali i punti di forza del piano Trump?

Trump propone un programma complesso, ma molto vantaggioso perché si poggia sulla verità. Io credo nella verità anche perché essa porta dei mutamenti storici fondamentali. Di positivo c’è il riconoscimento dell’errore di basarsi sull’accordo di Oslo e sulle sue successive premesse legate al falso tema “pace in cambio di terra”. Un’altra menzogna, comunemente accettata dall’Europa è che Israele si trovi qui su territorio arabo: non è così. Israele si trova qui nella patria degli Ebrei, una considerazione che finalmente risulta chiara dal piano di pace, senza per questo voler cancellare l’esistenza dei palestinesi.

Cosa incassano i palestinesi?

In primis il riconoscimento di uno Stato Palestinese, nel caso che affrontino alcuni nodi fondamentali. Il primo è il più evidente, quello che qualsiasi persona di buona volontà nota immediatamente: quello legato alla violenza. I palestinesi non avranno un esercito, si legge nel piano, ma potranno costituire una forza di polizia. Per ottenere la sovranità dovranno rispettare alcune condizioni, come la rinuncia all’uso della violenza, la denuncia di gruppi come Hamas e la Jihad, e il rispetto dei diritti umani.

Nella sua lettera al presidente palestinese, Abu Mazen, Trump propone 4 anni di tempo per negoziare. Cosa potrà cambiare?

Dovranno in quel lasso di tempo sviluppare una statualità, ovvero un potere non diviso tra una parte semiterrorista e una parte completamente terrorista. Ma rinunciare a dare uno stipendio ai terroristi, alle armi e all’incitamento, come esplicitamente scritto nel piano.

Le reazioni palestinesi?

È sufficiente scorrere il Palestinian Media Watch (PMW) per leggere espressioni ingiuriose contro gli ebrei, definiti ancora una volta cani. Abu Mazen è un campione in questo, essendo promotore di questo tipo di linguaggio. Ma i palestinesi hanno respinto il piano ancora prima di averlo letto, dicendo che l’amministrazione Trump sostiene gli israeliani.

È questa una svolta decisiva nella questione israelo-palestinese?

Trump riconosce loro che gli insediamenti non dovranno essere sgomberati grazie ad uno sfogo territoriale dove sono presenti le coltivazioni strategiche. Non è una zona desertica come qualcuno dice erroneamente, ma una zona di primaria importanza. Inoltre tutte le città arabe che sono oggi arabe e israeliane nel triangolo andranno nello Stato Palestinese, in una cornice di unità territoriale, dove non una sola persona verrà spostata da dove si trova. Infine promette 80 miliardi di investimenti. È una proposta molto elaborata che è di pace: dopo molti anni finalmente torna il termine pace accanto alla proposta per il dossier israeliano-palestinese. Ed è merito di Netanyahu che, al netto delle difficoltà contingentali, si è mostrato sempre un uomo di pace ma realista, conscio del termine pace. E senza dimenticare che Israele negli anni ha dovuto difendere la sua pace.

twitter@FDepalo

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