E così inizia un nuovo anno. Con le speranze ed i sogni che ogni nuovo inizio si porta dietro. Certo, dando un’occhiata agli spettacoli offerti ieri sera da RaiUno e Canale5, le reti a maggior audience in Italia, verrebbe da dubitare che vi siano nel nostro paese dei sogni per realizzare i quali val la pena rimboccarsi le maniche.
Ma essendo il primo giorno dell’anno, voglio essere ottimista, cercando di capire in cosa sperare per risollevare le sorti dell’Italia e dell’Europa, entrambe diversamente in crisi.
Che l’Italia sia un paese al collasso mi pare così manifesto, anche indipendentemente dalla “qualità” offerta dal servizio pubblico televisivo, che non occorre soffermarvisi a lungo. Capitale umano in fuga da decenni, ultimo posto in Europa per spese in innovazione e ricerca, infrastrutture senza manutenzione, una pubblica amministrazione inefficiente e legata ancora oggi a logiche “di cartellino” piuttosto che “di risultato”, un sistema di redistribuzione delle risorse basato su rendite di posizione piuttosto che su valutazioni meritocratiche, infiltrazioni mafiose a tutti i livelli della vita politica ed economica, sistemi tributari appesantiti da norme e omissioni che favoriscono l’evasione e l’economia sommersa. Mi fermo qui, essendo cose ben note.
Anche l’Europa è al collasso. L’Unione Europea, il grande sogno del dopoguerra di costruire un esperimento di condivisione della sovranità per mostrare che gli Stati capaci degli orrori della guerra potevano lasciare spazio ad un sistema efficiente e pacifico di costruzione della pace, di difesa dello stato sociale, di affermazione dei principi della libertà e della democrazia su base sovranazionale e multilivello… quella Unione Europea non esiste più; trasformata in un consesso intergovernativo di scelte nazionali incapaci di affrontare le sfide della globalizzazione, di essere attore mondiale, di difendere i diritti e il futuro dei propri cittadini e dei cittadini del mondo.
Un’Europa ferma, incartata nelle decisioni all’unanimità, nell’esercizio del diritto di veto, nei timori dei governi dei singoli paesi membri di compiere scelte penalizzanti per il loro consenso interno, piuttosto che volta a perseguire obiettivi collettivi e comuni. Un’Europa che, se non sarà in grado di rigenerarsi urgentemente su basi nuove, costruendo una genuina democrazia sovranazionale, sarà destinata ad un lento ed inesorabile declino, ad una frammentazione suicida, alla negazione dei propri valori.
Tommaso Padoa-Schioppa, già Ministro dell’Economia in Italia e membro del Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea (fra i vari altri ruoli che ha ricoperto prima della morte improvvisa nel 2010) era fermamente convinto che vi fossero nella società italiana ed europea gli anticorpi per risollevarne le sorti: non nelle classi politiche miopicamente orientate alla raccolta del consenso, né nella popolazione intontita dagli slogan degli stessi politici e dai media al loro servizio; ma nella classe dirigente del paese e del continente. Quella classe dirigente (docenti, magistrati, imprenditori, giornalisti, professionisti), di cui naturalmente Padoa-Schioppa faceva parte, che gli sembrava l’unica in grado di rompere quell’alleanza perversa fra elettori ed eletti per mostrare le vere vie del bene comune, delle scelte di lungo periodo. Ed allo stesso tempo in grado di farlo.
Noi, che siamo un po’ meno ottimisti di Padoa-Schioppa, temiamo che la classe dirigente (o gran parte di essa) sia invece ormai troppo impregnata di difesa degli interessi corporativi per mettersi in gioco. E forse anche molto meno libera di quanto Padoa-Schioppa pensasse, per poter destinare le proprie energie alla costruzione e difesa del bene comune.
Oggi, primo giorno del terzo decennio del secondo millennio dell’era cristiana, con un atto di fede, scegliamo tuttavia di essere ottimisti. Osando sperare che una parte della classe politica, aiutata da nuove consapevolezze che stanno emergendo nelle piazze di tutto il mondo in grado di spingere la ricerca del consenso verso obiettivi meno miopi e più alti, grazie al sostegno diffuso di una parte della classe dirigente che tiene a galla l’economia e la società del paese e del continente nonostante tutto; che questo segmento trasversale della società acquisisca la consapevolezza del proprio ruolo e compia il miracolo di una difficile cesura fra interessi particolari e collettivi, guidando l’Italia e l’Europa fuori dalle sabbie mobili in cui siamo entrati.
Con questa speranza, buon anno a tutti.