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Proporzionale, popolarismo e democrazia. Le leggi elettorali viste da Reina

La Corte Costituzionale ha quindi bocciato il quesito della Lega per ripristinare un sistema elettorale di tipo maggioritario. Si spera che in tanti ricordino che democrazia è partecipazione, assembleare o rappresentativa che sia, chiunque cerca di limitarne i confini, fingendo di volerne agevolare il suo buon funzionamento sta spudoratamente mentendo.

Il riferimento è ai tanti votati alla democrazia borghese, dove il sistema elettorale censitario, a carattere uninominale, dava l’opportunità alle cricche e ai notabilati locali di fare e disfare, di determinare gli equilibri politici e di governo delle comunità del Paese. Era il sistema uninominale maggioritario che consentiva simili pratiche. Vennero poi, dopo la caduta del fascismo, gli anni di una nuova era, il tempo della Repubblica e con esso il sistema elettorale proporzionale con preferenze, attraverso il quale le forze politiche avviarono il moderno corso democratico, inserendo in Costituzione la dignità degli stessi partiti politici, dei sindacati, delle autonomie locali, delle regioni.

La democrazia in Italia si consolidò, chiamando donne e uomini ad assumersi responsabilità politiche e amministrative, perché forte era il desiderio di operare al servizio delle comunità locali e nazionale. Fu proprio il sistema elettorale proporzionale ad agevolare il cammino e la crescita della democrazia repubblicana in Italia: l’obiettivo era la costruzione di una buona società.

La pronuncia della Consulta che ha bocciato la settimana scorsa la proposta avanzata dalla Lega Nord per ripristinare un sistema elettorale maggioritario puro che potesse abrogare il “rosatellum” è stata accolta da reazioni contrastanti: i richiedenti, leghisti e altri piccoli gruppi: delusi e indispettiti, gli oppositori tiepidamente soddisfatti. Il dato vero è che nonostante la crisi della politica si finge di ignorare che il maggioritario uninominale contrae gli spazi di democrazia, agevolando le oligarchie, i gruppi politici organizzati, le stesse segreterie dei partiti, che nostalgici del sistema censitario aspirano a perpetuare sé stessi con marchingegni elettoralistici e non con azioni di buon governo.

L’attuale situazione politica è figlia proprio della stagione maggioritaria. Altri paesi occidentali, come gli Usa, dove vige un sistema simile a quello sperato dal leghista Salvini, hanno dovuto riscontrare una contrazione partecipativa dei cittadini alla vita dello Stato, e, quindi, una minore tutela degli interessi dei deboli. J. K. Galbraith, americano, professore emerito di economia all’università di Harvard sosteneva in un suo libro (La buona società, Rizzoli ed.) che nel moderno sistema politico esistono due gruppi, diversi per potere e autorità, che rendono la democrazia imperfetta. Il primo è rappresentato dai privilegiati, i benestanti, i ricchi con la burocrazia aziendale e gli interessi del mondo degli affari, mentre il secondo è fatto dalle persone socialmente ed economicamente disagiate, con altri, e sono molti, che per impegno e solidarietà si battono in loro favore. Per questi ultimi il confronto non esiste: sono perdenti in partenza.

Per ottenere una buona società è necessario che la democrazia sia vera ed estesa a tutti. Galbraith ritiene che, di fronte alle ingiustizie esistenti nel sistema politico americano, come la riduzione della rete di protezione sociale, le cose potrebbero cambiare a favore dei poveri e dei deboli, se questi si convincessero ad andare alle urne con fiducia, per dare voce ai loro problemi. Il sistema politico cercherebbe di ottenere i loro voti, e si darebbe da fare per costruire una rete di protezione sociale adeguata alle richieste dei cittadini bisognosi. Nelle elezioni americane del 1994 gli oppositori alle istanze dei poveri ne uscirono vittoriosi, grazie al voto di meno di un quarto degli aventi diritto, e di meno della metà di coloro che si erano recati alle urne. I media e la gente interpretarono tale vittoria come espressione delle idee e delle istanze della collettività. Se tutti avessero votato, i risultati, i commenti e le reazioni sarebbero stati certamente diversi. L’attenzione verso i deboli sarebbe stata più forte e più responsabile.

Galbraith invita, quindi, a realizzare sistemi politici in grado di facilitare e rendere possibile la partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato, per costruire una buona società. Le tesi dell’economista americano non sono ignote al pensiero popolare e democratico-cristiano, sono nella storia e nella vita del cattolicesimo politico in Italia. Il principio di partecipazione iscritto nell’esperienza di Sturzo nel Ppi, in quella di De Gasperi con la Democrazia cristiana, di Fanfani, che ha pubblicato testi sull’argomento, tradotti in varie lingue va oggi più che mai perseguito per riavvicinare il popolo alla politica.

I detrattori del sistema elettorale proporzionale con preferenze vanno contrastati con argomentazioni politiche solide e convincenti finalizzati a una concreta e fattiva partecipazione dei cittadini alla vita politica. Il “popolarismo” ha avuto sempre lo stesso fine: estendere la democrazia, rafforzare la libertà, favorire lo sviluppo sociale ed economico.


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