Non è un giorno normale quello che Vladimir Putin ha scelto per il suo surprise party siriano: si è imbarcato ed è partito alla volta della Siria nel giorno del Natale ortodosso. A volerla raccontare solo così non sarebbe una novità assoluta, il presidente russo si era già recato a celebrare il Natale, secondo il calendario giuliano, con le truppe di stanza in Siria. Ma questa volta il leader del Cremlino è passato attraverso Damasco, senza fermarsi in città, per poi incontrare il presidente siriano, Bashar al Assad, non nel palazzo presidenziale ma nella base militare russa dove ha ritenuto di riceverlo, dicasi padrone di casa.
Le parole di Putin riferite da Novosti e dalla Tass non vanno interpretate, basta riferirle: “Attraversando la capitale Putin ha affermato che i segni di come la pace sia stata riportata si possono vedere a occhio nudo.”
Difficile scorgere in questa cerimonia, e nella convocazione di Assad alla base militare russa, un gesto di cortesia nei confronti dell’alleato iraniano, proprio in quelle ore in ben altre faccende affaccendato. Ha parlato di Pax Russa Vladimir Putin? O forse ha lanciato un’Opa sul cristianesimo di tutto il Levante?
È molto importante notare che proprio nelle ore precedenti il Natale ortodosso si è definitivamente consacrato un altro strappo del Patriarcato Ortodosso di Mosca con il resto del mondo ortodosso. Dopo la decisione del patriarca di Alessandria d’Egitto di unirsi alla Chiesa ortodossa di Grecia nel riconoscere la decisione del patriarca ecumenico di Costantinopoli di riconoscere l’autocefalia della Chiesa ortodossa in Ucraina, che prima era parte di quella moscovita, Mosca ha interrotto ogni relazione – come aveva fatto con la stessa Costantinopoli – con Alessandria, annunciando la decisione di aprire parrocchie russe in tutta l’Africa, il territorio canonico ortodosso su cui ha giurisprudenza Alessandria. Le attività del patriarcato alessandrino a Mosca sono state bloccate. Siccome la stessa decisione era stata presa nei confronti dei greci, Vladimir Rozannskij, su Asianews, ne ha dedotto che “il patriarcato di Mosca punta evidentemente a organizzare una rete tradizionalista internazionale tra gli ortodossi di tutte le Chiese, con cui contrapporsi” a quelli che per Mosca sono gli scismatici filo-occidentali.
Uno dei nomi più noti del patriarcato di Mosca, Vlesovolod Chaplin, a lungo strettissimo collaboratore del patriarca, commentando le decisione della Chiesa di Mosca ha dichiarato che “bisognerebbe nominare dei nuovi primati ecclesiastici veramente ortodossi a Costantinopoli, Atene e Alessandria, sulle cattedre vacanti, al posto dei traditori… Soltanto scuotendoci di dosso la polvere degli eretici e degli scismatici, potremo salvare l’unica Chiesa nella vera fede”. È questo, chiaramente, il mito della Terza Roma. Una corrente dell’ortodossia russa ha sempre sostenuto questa visione imperiale; cadute la Roma imperiale e poi Costantinopoli, la terza Roma, la capitale imperiale della cristianità che non cadrà mai, è Mosca.
Ed ecco che un altro segnale viene ora interpretato nello stesso modo. All’inizio dell’anno il patriarca di Mosca, Kirill, ha concesso ai suoi fedeli il diritto di battezzare i propri figli con nomi di origine straniera. Ai molti che lo avevano interpretato come un gesto “liberale” ha risposto l’arcidiacono Andrey Kurayev: è parte dell’orientamento di fare della Chiesa di Mosca la guida mondiale dell’ortodossia. L’annuncio del Patriarca di Kiev, il pomo della rabbia moscovita, che 600 parrocchie in precedenza allineate con Mosca hanno aderito alla sua Chiesa, sembra voler dire che nel cuore del cristianesimo russo, a Kiev, le cose non vanno proprio come auspica Mosca.