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Quota 102 serve. Ma la riforma delle pensioni è altra cosa. Parla Sacconi

Alla fine del 2021 la quota 100 non ci sarà più. La sperimentazione di tre anni dell’anticipo pensionistico introdotto dallo scorso governo per volere della Lega, prevede la possibilità di ritirarsi dal lavoro a 62 anni d’età e 38 di contributi versati. Ma dall’inizio del 2022 non sarà più applicabile a chi vuole anticipare la pensione. Si verrà quindi a creare uno scalone, sorta di buco nero previdenziale: chi si ritroverà improvvisamente tagliato fuori dalla Quota 100, pur avendone i requisiti, dovrà attendere i 67 anni per andare in pensione con la normale pensione di vecchiaia. Il governo però, ha uno stratagemma, o almeno così pare. La quota 102, ovvero la pensione a 64 anni di età e almeno 38 di contributi, da adeguare poi alla speranza di vita. Buona idea? Formiche.net lo ha chiesto a Maurizio Sacconi, economista e ministro del Lavoro nell’ultimo governo Berlusconi e animatore dell’associazione Amici di Marco Biagi.

Sacconi, nel 2021 Quota 100 si esaurirà. Per evitare un buco di cinque anni nel nostro sistema previdenziale, il governo sta studiando un nuovo meccanismo: quota 102. Che gliene sembra?

Il problema di una scarsa flessibilità nell’uscita dal mercato del lavoro c’è e questo perché a monte c’è la necessità di interventi strutturali sulla Legge Fornero. Dunque forme di flessibilità, come quota 102, servono. Ma al contempo faccio un’osservazione. Intervenire su una materia così delicata, come quella previdenziale, è un’operazione delicata e complessa che richiede una maggioranza di governo coesa e soprattutto un robusto consenso nella società. Le politiche di governo sono sostenibili se sanno coniugare l’agenda popolare con quella istituzionale o di stabilità. Politiche squilibrate sull’una o sull’altra non reggono.

Condizioni che immagino oggi non ci siano…

Sono abbastanza scettico che tali condizioni sussistano, almeno per ora. Questo non toglie che continuino a emergere i limiti della Legge Fornero che non ha previsto forme di flessibilità in uscita e nemmeno forme di transizione per persone già adulte all’atto della sua approvazione. Non esiste al mondo una riforma previdenziale che non dia tempo alle persone di reagire operosamente al cambiamento delle regole. Rimangono dunque problemi di flessibilità e di gradualità nel nostro sistema previdenziale, oltre all’esigenza di un riordino delle confuse deroghe che ci sono costate 20 miliardi nella scorsa legislatura.

Lo stesso discorso delle pensioni vale anche per il fisco? Anche su questo fronte manca una base di consenso?

Direi di sì, la previdenza, così come la fiscalità sono materie che richiedono una larga base di consenso perché incidono sulla carne viva della società. In questo senso penso sempre a un processo di convergenza a livello europeo su queste materie fondato su criteri comuni e tale da evitare che in nessuna società nazionale si guardi al giardino del vicino perché tutti parte di una unica e coesa comunità. Se ci fossero convergenze a livello europeo si potrebbe evitare anche quello che e’ successo in Francia…

Già, la Francia…

La prova che la previdenza incide sulla carne viva, ancor più in società insicure come quelle attuali. La Francia è governata da un presidente che ha preso poco più del 20%. Ha vinto certo nel ballottaggio, ma il suo consenso reale  è rimasto a quel livello. Troppo poco per governare società insicure in un mondo complesso, occorre che i governi oggi rappresentino effettivamente  la maggioranza reale della società. Ed è su questo che dobbiamo riflettere.

In Italia abbiamo un premier non eletto…

Questo è un limite che pesa sulla possibilità di una riforma previdenziale o fiscale che sia.

Sacconi, rimpiangeremo Quota 100?

Quota 100 è stata più equa delle correzioni alla Fornero fatte nella precedente legislatura, segmentando opinabilmente i beneficiari di deroghe alle rigide età di pensione e con costi superiori. E’ stata definita sperimentale per cui alla fine del secondo anno sarà doveroso un rapporto sui suoi costi effettivi e sulla sua reale utilità sociale.

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