Se i rapporti tra i servizi segreti americani e italiani non sono una novità delle cronache dei giorni nostri è altrettanto probabile che un precedente di rilievo sia dato dai fatti, accaduti nell’ottobre del 1985, passati alla storia come la ‘Notte di Sigonella‘.
I fatti ebbero inizio il 7 ottobre 1985 quando la nave da crociera italiana Achille Lauro, che si apprestava a lasciare le acque egiziane per approdare in Israele, fu sequestrata da quattro terroristi palestinesi armati che si erano introdotti a bordo con falsi passaporti.
I terroristi, sorpresi da un componente dell’equipaggio mentre maneggiavano le armi destinate a una loro missione programmata durante lo sbarco nel porto israeliano di Ashdod, reagirono repentinamente e, dopo una sparatoria in cui fu ferito un membro dell’equipaggio, si impossessarono della nave.
La situazione, di per sè alquanto caotica, degenerò immediatamente ed i terroristi minacciarono ripetutamente di uccidere un passeggero ogni tre minuti, iniziando dai cittadini americani. Venne quindi ucciso e gettato in mare, Leon Klinghoffer, un cittadino americano paraplegico. Fortunatamente i sequestratori non proseguirono nell’attuare la loro minaccia, se non simulandola con diversi spari al fine di intimorire l’equipaggio ed i passeggeri nonchè per alzare il ‘pathos’ dell’onda mediatica globale che avevano scatenato.
Nel pomeriggio del 10 ottobre, i terroristi patteggiarono la resa e la nave ritornò in Egitto approdando a Porto Said. Fu il leader dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Abbu Abbas, con l’autorizzazione del governo italiano, a far arrendere i terroristi promettendo loro una via di fuga diplomatica verso un altro paese arabo.
La soluzione venne appoggiata dall’OLP e gestita dal governo italiano a condizione che a bordo non fossero stati commessi reati. Il comandante della nave, Gerardo De Rosa, confermò prontamente che tutti i passeggeri erano incolumi permettendo così il nulla osta all’estradizione dei quattro dirottatori.
A quel punto il governo del Cairo requisì un aereo civile, un Boeing 737 delle linee aeree egiziane, per trasferire i terroristi in Tunisia, come risultato della negoziazione. Il velivolo, da quel momento ufficialmente un mezzo di trasporto dello Stato egiziano, partì nella serata del 10 ottobre con a bordo i quattro dirottatori dell’Achille Lauro, i rappresentanti dell’OLP (Abu Abbas e Hani el Hassan), un ambasciatore egiziano ed alcuni agenti del servizio di sicurezza egiziano.
Il volo, decollato dall’Egitto alle 23:15 con destinazione Tunisi, fu però intercettato nel Mediterraneo da alcuni caccia americani che lo dirottarono verso la base aerea americana di Sigonella, in provincia di Catania. La Base di Sigonella, un aeroporto militare italiano che comprende una Naval Air Station della Marina statunitense, era a quei tempi – ma visti i fatti in Iran di questi giorni, lo è ancora oggi – l’appoggio strategico-militare delle forze americane sul Mediterraneo con la migliore ‘vista’ sul Nord Africa e sul Medio Oriente.
In quella notte tra il 10 e l’11 ottobre 1985, nei minuti concitati in cui il Boeing toccò la pista d’atterraggio di Sigonella, si creò una situazione paradossale che fece emergere, sin da subito, le forti divergenze sin qui avutesi tra il governo Reagan e quello Craxi nella gestione della crisi. Situazione che rischiò di sfociare in uno scontro armato tra VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) e Carabinieri da una parte, e i militari della Delta Force (reparto speciale delle forze armate statunitensi) dall’altra.
In quei momenti giravano le edizioni speciali dei telegiornali di tutto il mondo – e rimanevano nella storia – le immagini che ritraevano l’aereo egiziano circondato da un anello di truppe militari italiane, ri-circondate da soldati americani, a loro volta circondati dalle camionette dei carabinieri. Una situazione tragicomica se non per il fatto che ogni militare avesse innescato il “colpo in canna” ed ogni qualsiasi reazione, in quel delicatissimo mix di sovranità territoriali ormai più che ‘shakerato’ dagli eventi, avrebbe avuto conseguenze catastrofiche a livello politico, diplomatico e militare per gli anni a venire (senza contare il prezzo di un’eventuale conflitto a fuoco tra i militari coinvolti in loco).
Il Presidente del Consiglio di allora, Bettino Craxi, resistette però alla supponenza americana e riuscì ad imporre la sovranità nazionale italiana garantendo, nel contempo, i rapporti internazionali e di amicizia con gli americani e il mondo arabo. Una grande vittoria di Craxi, che però sancì la rottura politica tra il presidente del Consiglio italiano ed il Dipartimento di Stato americano. Una vittoria che ebbe pesanti conseguenze nella vita del leader del Partito Socialista Italiano, oltre che sulla storia recente dell’Italia.
Alla cronaca di quella tragica “notte di Sigonella”, manca però all’appello un’ora… 60 cruciali minuti che potrebbero cambiare il senso di quell’episodio e dei rapporti che, a quel tempo, esistevano tra Italia e USA.
Alla luce di una serie di nuovi elementi, del tutto inediti, e di qualche logica deduzione, Salvo Fleres e Paolo Garofalo hanno scritto il saggio dal titolo “Sigonella. L’ora che manca alla storia” edito da Officina della stampa.
I due autori, uno giornalista ed ex parlamentare, l’altro autore di saggi sulla comunicazione e i diritti umani, formulano alcuni inquietanti interrogativi sulla vita del nostro Paese e sul particolare destino politico di Bettino Craxi, Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Antonio Di Pietro, Giovanni Spadolini ed altri interpreti delle vicende degli anni ‘80 e di oggi, ponendoli in relazione ai fatti di quella incredibile notte.
Fleres e Garofalo mettono in particolare sotto i riflettori il comportamento dei protagonisti non italiani di quell’episodio, da Michael Ledeen a Ronald Reagan, da Yasser Arafat ad Abu Abbas, con l’obiettivo di rivelare episodi che la storiografia e la cronaca ufficiale hanno omesso o sottovalutato.