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Pd, M5S e il gioco ad ultimatum (rovesciato). L’analisi di Pennisi

Uno studio della Fondazione Open Polis documenta analiticamente che al 22 gennaio sono stati solamente 4 i voti finali in Parlamento: 2 su decreti in scadenza (il decreto Alitalia e il decreto sul sistema creditizio del Mezzogiorno) e 2 su ratifiche di trattati internazionali. Il 70% delle leggi approvate da inizio legislatura sono di iniziativa governativa. Si tratta di uno dei valori più bassi, dimostrando quanto il voto in Emilia-Romagna ed in Calabria e le crescenti difficoltà interne alla maggioranza, stiano influenzando le dinamiche dell’aula. Dall’approvazione della manovra di bilancio, che ha monopolizzato l’attenzione nel mese di dicembre, l’attività di Camera e Senato sembra quindi essere ripartita a rilento. Invece, la situazione internazionale pare essere diventata un pretesto ulteriore (ossia in aggiunta alle elezioni regionali) per inerzia quasi completa in materia di politica economica.

L’inerzia, attribuita al presunto impegno dei leader nel cercare di contribuire a risolvere l’intrigo internazionale in Medio Oriente e Nord Africa, nasconde profonde anzi profondissime differenze tra i partiti e i movimenti che sostengono il governo. Celate, in qualche modo, durante la formulazione della legge di Bilancio o attutite facendosi cortesie reciproche, ora si manifestano apertamente. In una prima fase, il Pd si è quasi sdraiato sulle tesi di politica economica del M5S, sperando in tal modo di attirarlo verso un’area di centrosinistra; si è ora reso conto che in tal modo non solo ha subito una scissione (di Italia Viva), ma rischia di perdere il proprio elettorato tradizionale, mentre il M5S dà segni di sbriciolamento. Negli ultimi giorni prima del voto in Emilia-Romagna ed in Calabria, le posizioni hanno mostrato di essersi irrigidite e i compromessi sono diventati più difficili.

È difficile quantificare il costo dell’inerzia, anche se ci sono metodi, come quello delle opzioni reali che consentono di farlo se si dispone di una vasta mole di dati. Ma le finalità sarebbero principalmente accademiche (ossia a fini di studio ed analisi) e dubito che avrebbero conseguenze operative di politica legislativa.

Il presidente del Consiglio, prof. avv. Giuseppe Conte, sostiene che intende dare una svolta all’azione del governo in termini di produzione di provvedimenti ed utilizza termini come “cronoprogramma” presi dal lessico non del diritto civile ma delle scuole di gestione aziendale. Nel premere sul pedale dell’acceleratore, però, deve pensare che le elezioni regionali hanno mostrato un profondo mutamento di equilibri in seno alla maggioranza. Non mutano le posizioni relative in Parlamento, ma appare chiaro che il Pd può ora contare su una significativa (e forse crescente, se non commette troppi errori) crescita di consensi nel Paese, mentre il M5S ha in Parlamento deputati e senatori letteralmente terrorizzati dalla eventuale prospettiva di tornare alle urne, tanto che numeri crescenti defezionano anche per tentare di trovare casa altrove.

In termini di “teoria dei giochi”, il “gioco ad ultimatum”, che caratterizza questo governo dal giorno della sua nascita il 5 settembre, si è rovesciato. Nei giorni per la trattativa per la formazione dell’esecutivo e soprattutto in quelli della formazione ed approvazione parlamentare delle legge di Bilancio, il M5S (che “accoglieva” il Pd nel governo) non solo aveva titolo di dare le carte ma poteva utilizzare termini ultimativi sfoggiando la propria consistenza in Parlamento. Ora il M5S ha poco da sfoggiare: soffre di uno sbriciolamento nelle Camere (molto inquietante quello al Senato), di una leadership politica quanto meno poco chiara e soprattutto di un crollo a picco nei consensi nel Paese (anche in quel Mezzogiorno che aveva irretito con la promessa del “reddito di cittadinanza”).

A dare la carte è il Pd e avere potenzialmente la mano forte nel “gioco ad ultimatum” è sempre il Pd, soprattutto se recepisce alcune proposte per la crescita formulate da alleati di governo. Infatti, come detto, i parlamentari M5S sono probabilmente a cedere su numerosi punti che considerano identitari pur di evitare di andare alle urne.

È un “gioco ad ultimatum” che il Pd (e gli altri) devono sapere usare con sapienza e giudizio ora che, dopo la pausa per le elezioni regionali, le Camere tornano a lavorare. Dei provvedimenti di immediata attenzione, tre ci sembrano essenziali per comprendere se e come il Pd vuole e può utilizzare il potere (che ora ha) di dare le carte in un “gioco ad ultimatum” gestito, spesso anche in modo grossolano dal M5S nei primi mesi del governo Conte II:
a) la normativa sulla prescrizione la cui incostituzionalità è stata messa in rilievo anche da ex giudici della Consulta;
b) il nodo relativo alle concessioni autostradali;
c) il piano di rilancio degli investimenti pubblici.

Ora che il “gioco ad ultimatum” si è rovesciato, da come il Pd utilizzerà le carte che ha in mano (oltre che dalla capacità di imprimere una politica di crescita per il Paese) si vedrà se saprà imprimere una svolta riformista o se resterà al rimorchio del M5S con la conseguenza di seguirne, prima o poi, le sorti.

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