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Altro che Mes, lo spauracchio per l’Italia è l’Unione bancaria a trazione tedesca

Passata la tempesta di sabbia artatamente sospinta sul Fondo Salva Stati (European Stability Mechanism, Esm), finalmente si inizia a capire che il vero problema per l’Italia non è costituito dall’esistenza stessa dell’Esm. In fondo, quest’ultimo, ha contribuito non poco a rimettere in carreggiata Paesi come Portogallo, Spagna ed Irlanda. E non deriva neanche dalle proposte di modifica al suo funzionamento oggi in discussione.

Al contrario, come i tecnici stanno iniziando ad evidenziare, la vera minaccia per le nostre banche ed imprese è connessa all’impostazione che la Germania vorrebbe dare al progetto di Unione bancaria europea. Più in particolare, il problema nasce dal fatto che l’approvazione dell’Unione bancaria si è impantanato davanti allo scoglio costituito dal Terzo Pilastro relativo all’assicurazione unica a livello europeo sui depositi bancari. E questo a causa dell’intransigenza della Germania.

In sintesi, il fermo nein tedesco scaturisce dai seguenti punti: 1) la condivisione dei rischi sui depositi delle banche (specie mediterranee) comporta maggiori rischi per la Germania 2) di conseguenza è necessario limitare la rischiosità delle banche, specie mediterranee, svincolandole dal rischio di default sovrano 3) per ottenere ciò è necessario applicare un tetto al possesso da parte delle banche di titoli pubblici o richiedere alle banche maggiori requisiti patrimoniali a fronte del possesso di tali titoli.

Il problema è che il ministro delle finanze tedesco Olaf Scholtz ha di recente ribadito sul Financial Times che il nulla osta della Germania al varo dell’Unione è condizionato proprio all’introduzione di criteri restrittivi sul possesso di titoli pubblici da parte degli Istituti. Ora, è vero che si tratta di una posizione personale del ministro, tuttavia la dice lunga su come i tedeschi intendano approcciare la complessa questione.

Da premettere che, al momento, i titoli di Stato sono considerati privi di rischio e quindi non comportano alcun assorbimento di patrimonio per le banche che li detengono. L’impostazione tedesca, al contrario, introdurrebbe nuovi requisiti patrimoniali commisurati alla quantità di titoli detenuti dalla banca, alla concentrazione del rischio sovrano su uno specifico Paese, nonché al rating attribuito ai titoli stessi.

La modifica in esame dovrebbe riguardare i titoli di Stato che superassero la soglia del 33% del patrimonio della banca (Tier 1) e sarebbe previsto un periodo di transizione di almeno 5 anni. Ora, la proposta di Scholtz avrebbe immediate ripercussioni in Italia: 1) renderebbe subito le nostre emissioni di titoli pubblici meno attraenti per le banche 2) poiché le nostre banche detengono circa 400 miliardi di titoli italiani, è evidente che la contemporanea esistenza dei tre parametri sopra esposti (quantità, concentrazione e rating non eccelso) potrebbe comportare per le banche stesse un ingente assorbimento di patrimonio.

Il rischio è che gli istituti, per garantire il rapporto tra patrimonio e impieghi ponderati per il rischio voluto dalla vigilanza, possano essere costretti a limitare i propri impieghi a favore di un tessuto imprenditoriale ancora dipendente al 90% dal sistema bancario. 3) qualora le banche fossero costrette a ridurre l’ammontare dei titoli pubblici detenuti per rientrare nei parametri della proposta Scholtz, la redditività delle banche subirebbe un ulteriore contraccolpo. Infatti, secondo Equita Sim, le prime 9 banche italiane hanno ricavato nel 2019 profitti netti da cedole sui Btp pari al 13% dell’utile netto. Dunque, in caso di “vendita forzata” di titoli, il conto economico delle banche verrebbe falcidiato rendendo molto più complesso per gli istituti continuare a supportare il tessuto imprenditoriale a tassi contenuti.

Oltretutto, non bisogna scordare che i nuovi requisiti patrimoniali scaturenti dalla ipotesi tedesca si andrebbero a sommare alle recenti normative di vigilanza, già molto pesanti per le banche specie mediterranee. Ci si riferisce qui alle linee guida per lo smaltimento degli Npl che, tra l’altro, “raccomandano” alle banche di coprire totalmente con accantonamenti i crediti deteriorati privi di garanzie in tempi brevissimi. Ma anche all’inasprimento delle regole di vigilanza sugli sconfinamenti delle aziende oltre i 90 giorni (Past Due). In questo caso, l’abbassamento della soglia di entrata in credito deteriorato delle posizioni sconfinate causerà, dal gennaio 2021, ulteriori accantonamenti alle nostre banche.

E senza tralasciare gli accantonamenti derivanti dall’applicazione dei nuovi principi contabili Ifrs9 a fronte delle aziende in difficoltà finanziaria che hanno richiesto agli istituti misure di tolleranza quali spostamenti delle rate, allungamento delle scadenze, etc (Credito Forborne). Dunque un rischio del tutto teorico quello legato al Fondo Esm transgenico, un rischio molto concreto quello legato alla proposta Scholtz. Senza contare che quest’ultima appare anche piuttosto inutile. In caso di default di Paesi del calibro dell’Italia o della Spagna, i sistemi bancari sarebbero comunque travolti dall’esplosione delle insolvenze, da una crisi di sfiducia dei mercati e dall’impennata dei costi di raccolta. In questo scenario la presenza di titoli di stato nella pancia delle banche sarebbe davvero l’ultimo dei problemi.

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