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L’intelligence italiana e il fattore umano. Una lezione dal nuovo libro di Roberto Costantini

La valigetta ventiquattr’ore, il borsalino, gli occhiali neri opachi, una vita da cardiopalma, di treno in jet, di jet in elicottero. C’è qualcosa di vero nello stereotipo di 007 che ci hanno consegnato il cinema e la letteratura, ma la quotidianità di chi dedica la vita alla sicurezza nazionale del Paese è scandita anche da molto altro. Famiglia, affetti, passioni, preoccupazioni, umana fragilità.

Lo spiega bene “Una donna normale” (Longanesi), l’ultimo romanzo di Roberto Costantini (qui una recensione), che nel genere si è meritoriamente guadagnato uno spazio fra i “classici” (anche grazie al suo ormai celebre “Commissario Balistreri”). La nuova fatica editoriale di Costantini, ingegnere, a lungo consulente aziendale, dirigente della Luiss Guido Carli, dove insegna Negoziazione e Leadership, riprende molti dei files-rouges dei precedenti romanzi. L’intelligence, la minaccia terroristica, la Libia, e Tripoli, dove l’autore è nato. Cambia il protagonista, che qui è una lei: Aba Abate, moglie, madre di due figli, impiegata al Viminale, sulla carta, agente dei Servizi italiani nella realtà. Il thriller si snoda intorno a una trama centrale, un imminente attentato terroristico che la determinata e pugnacea agente deve riuscire a sventare, e si riversa in tanti rivoli, con la consueta complessità e scorrevolezza narrativa.

Aba, nome in codice “Ice”, è una donna sicura, lucida, a tratti fredda. Attraverso una rete di infiltrati dentro le moschee deve coordinare le indagini sull’arrivo a Roma di un “uomo bomba”. Una ricerca che la porta a risalire i traffici di migranti, fino in Libia, dove si ritrova a interrogare informatori, criminali locali, personaggi ambigui e in malafede, e può osservare con i suoi occhi il dramma dei campi di detenzione, descritti con struggente realismo da Costantini, che a Tripoli e non solo ha ancora amici d’infanzia, testimoni oculari della violenza sottesa al traffico di esseri umani.

Aba però è anche una donna “normale”. Va in palestra, passeggia in un centro commerciale, cerca di essere, al netto del tempo che la sua seconda vita segreta le sottrae, una buona amica, madre, moglie. Qui sta il senso del titolo e del romanzo, nella continua tensione fra la normalità della vita affettiva e la straordinarietà del lavoro di intelligence. Una tensione che non può trovare soluzione se non in una scelta radicale, che non ammette vie di mezzo. In questo il romanzo di Costantini racconta il mondo dell’intelligence, e dell’intelligence italiana, con una prosa sempre ancorata a elementi di realismo. Non è un caso: come i copiosi ringraziamenti a fine libro dimostrano, l’autore ha potuto avvalersi in questi mesi della supervisione e dei consigli di uno straordinario parterre di protagonisti del mondo dell’intelligence e della sicurezza italiana.

Prova ne è stata la presentazione del libro questo giovedì a piazza Venezia, presso l’Associazione Civita, cui hanno preso parte con l’autore il prefetto Gennaro Vecchione, direttore del Dis (Dipartimento per l’Informazione e la Sicurezza), il ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il presidente del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) Raffaele Volpi, moderati dalla giornalista Maria Latella.

Di fronte a una sala gremita di volti noti del mondo Luiss, come la vicepresidente Paola Severino, il direttore generale Giovanni Lo Storto e il rettore Andrea Prencipe, la Latella ha chiesto agli ospiti, che in coro si sono confessati avidi lettori di Costantini, di aprire uno spaccato sul mondo della sicurezza nazionale, ognuno dalla prospettiva che più gli compete.

Esiste, nell’intelligence italiana, un’Aba Abate? “La realtà supera la fantasia – ha risposto sorridendo Vecchione, che a capo del Dis coordina le altre agenzie di intelligence, l’Aisi e l’Aise. Se si dovesse racchiudere in due parole la peculiarità che differenzia i Servizi italiani dai colleghi all’estero, il prefetto non avrebbe dubbi: “fattore umano”. Come ben descrive la storia di Aba, “l’intelligence italiana è affidata agli uomini, più che all’intelligenza artificiale, a un’intelligenza umana”. “Il grande sacrificio della protagonista” non è un semplice espediente narrativo, è il pane quotidiano di chi lavora nel sistema della sicurezza, ha spiegato Vecchione.

Lo stesso vale per il rigore e il metodo ferreo seguito da Aba nei suoi briefing di lavoro, che trovano ampia corrispondenza nel lavoro del Dis, “la rigidità dei protocolli è fondamentale”. Non è un caso allora se talvolta le agenzie di intelligence italiane sono ribattezzate “democrazia parallela”. Quando la politica litiga e si divide, sono loro a ricucire e richiamare all’interesse nazionale: “Il nostro compito è, nel rispetto della legge e del controllo del Parlamento, oltre che dei vincoli di segretezza, fornire al decisore tutte le informazioni di dettaglio sulle operazioni che svolgiamo, ma anche un’analisi strategica, geopolitica, di lungo respiro”.

“Non sempre si può associare un nome e un volto ai sacrifici di queste persone, né si possono sempre far conoscere all’opinione pubblica” ha detto Guerini, che di intelligence si intende anche per aver presieduto fino allo scorso settembre il Copasir, aggiungendo un monito eloquente: “Spesso questo prezioso lavoro non è riconosciuto e apprezzato come dovrebbe da chi ricopre funzioni politiche”.

La Difesa, ha spiegato il titolare di Palazzo Baracchini, lavora a stretto contatto con il Sisre (Sistema per l’informazione e la sicurezza della Repubblica): “È il caso delle missioni all’estero e dei molti teatri in cui sono impegnati i soldati italiani, dove è decisivo l’afflusso di informazioni fornite dall’intelligence per chi decide, soprattutto in situazioni di criticità”. Un ecosistema che si riflette anche sul piano internazionale, “all’interno di un quadro di solide alleanze in cui l’Italia è inserita, dove le interazioni fra settore militare e intelligence sono continue”.

“Ho avuto la fortuna di ereditare la presidenza del Copasir da Guerini, lunedì farò audire Vecchione per farmi raccontare a porte chiuse come finisce il libro” ha scherzato in chiusura Volpi. Anche per il deputato leghista a capo dell’organo di raccordo fra Parlamento e Servizi, che ha appena concluso un’indagine conoscitiva sulla sicurezza del 5G avviata da Guerini e ora ha avviato un ciclo di audizioni sull’esposizione del sistema Paese, a partire dai settori bancario e assicurativo, il lavoro degli 007 italiani meriterebbe più attenzione, “conosciamo i nomi sulle targhe ma non si parla degli altri”. “Leggendo questo libro scoprirete quanto poco narcisismo ci sia in queste persone, quanto lontani siano gli uomini della nostra intelligence dallo spirito del tempo che viviamo”.

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