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M5S, la strada è tracciata. Giannuli spiega come si è rotto l’incanto

Posso sbagliare – è umano – ma non credo che risponderanno in molti all’appello di Luigi Di Maio per scendere in piazza ed immagino una piccola piazza affollata da pochi fans o una piazza più grande semivuota. Il punto è che il M5S è entrato nella fase calante della sua parabola e la sta percorrendo a velocità crescente. Stanno venendo al pettine nodi presenti sin dall’origine e poi nascosti per un certo periodo da un contesto favorevole al movimento.

Il progetto di Gianroberto Casaleggio aveva intuizioni notevoli (la valorizzazione degli elementi di democrazia diretta, lo sfruttamento delle potenzialità del web, la polemica contro la casta che assumeva le vesti dell’attacco al bipolarismo FI-Pd, il ruolo dell’innovazione nelle prospettive di crescita del paese ecc.), ma aveva anche elementi utopici o di grande debolezza (la possibilità di sostituire del tutto la democrazia rappresentativa con quella diretta, la polemica anti ideologica che lo portava a negare l’utilità delle categorie di “destra” e “sinistra”, la dimensione totalizzante del web, soprattutto la negazione della necessità di una dimensione organizzativa…), Però, Gianroberto era anche  una persona di grande onestà intellettuale e di grande abilità nel correggere la rotta in corsa quando questo si rivelava necessario, per cui sono sicuro che avrebbe “riaggiustato” molti tratti del suo progetto. A differenza di chi lo ha inadeguatamente sostituito, lui era uomo di letture ed era capace di imparare dall’esperienza. Per questo nel suo progetto c’era l’idea della elaborazione di una cultura politica propria del movimento, intorno alla quale cementare le adesioni, a cominciare da quella dei parlamentari poi rivelatisi assai inferiori al compito.

Purtroppo, alla sua morte, a succedergli è stato un giovanotto vestito da statista, ma di poche letture e, perciò stesso, insensibile a qualsiasi idea di cultura politica, sostituita da un mazzetto di slogan, ed assolutamente incapace di imparare dall’esperienza.

Nel 2018 il Movimento ebbe un clamoroso successo che convinse tutti (capo politico in testa) che le cose stavano andando bene e non ci fosse bisogno di correggere nulla. Non si comprese la congiuntura che aveva portato a quel successo: la spinta del progetto originario, che ancora aveva qualche effetto, la protesta che montava per il modo in cui era stata gestita la crisi iniziata dieci anni prima, ma, soprattutto, la disfatta di Renzi al referendum costituzionale di due anni prima il cui merito primario era stato attribuito al M5S che, infatti, sul montare di quell’onda, conquistò Roma e Torino sin da sei mesi prima del referendum.

A quel punto molti pezzi del progetto casaleggiano caddero uno dopo l’altro: della democrazia diretta non si ricordò più nessuno, l’“uno vale uno” venne sostituito dall’onnipotenza del capo politico, di innovazione non si parlò più così come della produzione di una cultura politica propria e, soprattutto, la fregola governista di chi non vedeva l’ora di sedersi sulle poltrone ministeriali fece in resto. Una torma di dilettanti allo sbaraglio si proiettò verso ministeri, sotto segreterie, presidenze di commissioni con poche idee ben confuse. Ne scaturì una serie di leggi una più sbagliata dell’altra  come il reddito di cittadinanza, la legge spazza corrotti, taglio dei parlamentari e questione dei vitalizi, ora questa disastrosa norma sulla prescrizione. Spesso si è trattato di provvedimenti giustissimi nelle intenzioni ma realizzati tecnicamente assai male, costruiti con grande superficialità e nella totale ignoranza dei principi giuridici. Non abbiamo ancora visto la Corte Costituzionale al lavoro su gran parte di queste norme, ma sarà divertente vedere quante resteranno. Il punto è che i 5 Stelle (che forse hanno studiato legge nell’Università della Savana) non si sentono affatto condizionati dal diritto precedente, Costituzione inclusa, per cui non sanno cosa siano i diritti acquisiti, il garantismo, la divisione dei poteri, equilibrio sistemico delle norme eccetera.

Della rivoluzione promessa non c’è neppure l’odore ed i risultati elettorali parlano chiaro: nelle europee il M5S ha perso 6 voti su 10 rispetto ad un anno prima (una cosa da Guinness dei primati) e poi, nelle amministrative ha continuato dimezzando quel che era restato e poi diminuendo ancora. Il M5S non è stato un partito ed ora paga l’assenza di un assetto organizzativo; è stato uno stato d’animo, un incanto e, quando un incanto si rompe non c’è nulla fa fare: si scioglie tutto.

Ora il problema non è se il M5S si dissolverà (cosa ormai certa) ma come e con quale sedimento.

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