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Milleproroghe, che succede se l’Italia chiude il gas. Il commento di Garofalo (Femca-Cisl)

Le ultime novità sul decreto Milleproroghe riservano sorprese amare per il nostro Paese, e fanno un regalo inaspettato a nazioni come Grecia e Croazia.

Tra gli emendamenti approvati, infatti, ci sono quelli che prorogano la moratoria contro le trivelle fino a 30 mesi, 6 mesi in più di quelli previsti nella norma originaria. Questa norma blocca-trivelle di fatto allunga il termine dei tempi per il “Pitesai”, acronimo che sta per “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”, e che dovrebbe individuare le aree marine in cui poter operare.

Gli emendamenti, presentati dal Movimento 5 Stelle, sono un ulteriore passo verso il divieto definitivo di trivellazioni sul territorio nazionale, come annunciato più volte dai grillini.

È il frutto, a mio avviso, di una politica distratta e autolesionistica, il risultato di un approccio che è solo ideologico davanti ad una problematica che investe tutti i cittadini, perché si parla dell’autosufficienza del nostro Paese sul fronte delle politiche energetiche.

Numerose agenzie internazionali continuano a ripetere, senza smentite, che in attesa che le rinnovabili riescano davvero a soddisfare il fabbisogno di energia, il gas rappresenta la fonte di transizione ideale per arrivare a un futuro low carbon, ed è in grado oggi di mitigare la dipendenza energetica.

Quest’ultimo è un tema quanto mai attuale, purtroppo, per via delle forti tensioni in Libia, Iran e Iraq, 3 Stati nei confronti dei quali abbiamo una pericolosa sudditanza sul fronte energetico.

In questo scenario, però, la politica, o almeno una parte di essa, preferisce assecondare gli istinti più bassi, quelli emersi palesemente nel corso della campagna referendaria dell’aprile di 4 anni fa. Un mix pericoloso di demagogia, populismo, disinformazione, inadeguatezza.

Oggi ci risiamo: bloccare le trivelle per altri 6 mesi oltre quelli previsti vuol dire temporeggiare sui tempi per l’individuazione delle aree idonee in cui si potrà continuare a fare esplorazione e sviluppo degli idrocarburi al largo delle coste adriatiche.

Vuol dire colpire ulteriormente la produzione di gas, determinando così la chiusura dei pozzi e assestando un colpo mortale al settore. Vuol dire lasciare nell’incertezza le compagnie energetiche, che si preparano a scelte drastiche sul fronte occupazionale, con conseguenze sociali devastanti.

Vuol dire determinare la chiusura di tutte le imprese dell’indotto, che hanno stretto i denti nell’attesa di ripartire, con la perdita di tanti posti di lavoro.

Vuol dire fare un grande regalo ai competitor al di là dell’Adriatico, come Croazia e Grecia, che continuano indisturbate a far funzionare le loro trivelle a due passi dalle nostre coste. Vuol dire che forse, per questo Paese, davvero non c’è una prospettiva, una speranza.


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