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Trump, i talebani e un eccesso di ottimismo. Il punto di Vespa

Una tregua, poi un accordo, poi i veri negoziati. Almeno sulla carta. Gli Stati Uniti e i talebani sarebbero a un passo dal definire una tregua di una settimana durante la quale non dovrebbe esserci nessun atto di violenza in Afghanistan. Successivamente si proverà a raggiungere una vera intesa da firmare forse entro la fine di febbraio, intesa che a sua volta porterà all’avvio dei negoziati di pace. Le indiscrezioni di fonte americana emerse a margine della conferenza di Monaco sulla sicurezza indicano questa tabella di marcia anche perché incombe la campagna elettorale per le presidenziali del prossimo novembre alle quali Donald Trump vorrebbe arrivare con la promessa mantenuta di un ritiro delle truppe dall’Afghanistan.

La prudenza è inevitabile. Riuscire ad avere sette giorni senza attacchi di qualunque tipo sarebbe già un successo, se non altro perché è quasi impossibile controllare tutte le frange di combattenti in un territorio così esteso. All’inizio dello scorso settembre la firma saltò all’ultimo momento per un attentato che uccise 12 persone, tra cui l’ennesimo soldato americano, e che mandò su tutte le furie Trump e il segretario di Stato, Mike Pompeo. Ecco perché sette giorni di buona volontà sono il minimo prima che, a marzo, comincino le trattative tra i rappresentanti talebani e il governo di Kabul che sarebbero la vera novità perché si dovrebbe mettere da parte il reciproco odio viscerale. Nella migliore delle ipotesi, il ritiro dei 12mila soldati statunitensi sarebbe graduale nell’arco di 18 mesi mentre Trump ne aveva promesso il ritiro totale entro il prossimo novembre: con realismo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha detto che l’Alleanza è pronta “ad adeguare le truppe e ridurle se i talebani saranno pronti a dei compromessi” precisando che “non lasciamo l’Afghanistan”.

Preoccupa quello che ruota intorno alla trattativa: la presenza di al-Qaeda e dell’Isis e gli interessi di altre nazioni dell’area. Da mesi esponenti dell’amministrazione americana avvertono del pericolo che il ritiro delle truppe possa consentire una riorganizzazione di al-Qaeda che si sta allargando da molto tempo nel Sud-Est asiatico e che potrebbe nuovamente utilizzare l’Afghanistan come base per attentati contro l’Occidente. Non si capisce come i talebani possano garantire agli Usa di poter impedire il proliferare di organizzazioni terroristiche sul proprio territorio e assicurare che da lì non partirà nessun attacco contro gli Stati Uniti. Inoltre Iran, Cina e Russia temono una crescente insicurezza ai propri confini in caso di uscita americana. La Cina, in particolare, teme sia per i propri investimenti sia perché la minoranza musulmana uigura, contro cui Pechino sta agendo molto pesantemente, potrebbe trovare un’area dove rinforzarsi.

La stanchezza per una guerra che dura da 18 anni si scontra con la preoccupazione di gran parte dell’Occidente che il ritiro delle truppe americane e, a seguire, di quelle degli altri Paesi Nato tra cui l’Italia porti alla creazione di un vero Stato terrorista. Sarà decisivo non solo sottoscrivere un accordo quanto verificarne ogni giorno l’applicazione.

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