A questo punto non resta che la speranza. L’accordo tra gli Stati Uniti e i talebani per la pace in Afghanistan è stato firmato a Doha, capitale del Qatar, dopo più di 18 anni di guerra e dopo molti anni di trattative, discussioni, attentati e decine di migliaia di vittime militari e civili. Solo il tempo dirà se nei prossimi mesi saranno rispettati tutti gli impegni e se si arriverà davvero a un accordo di pace con il coinvolgimento del governo di Kabul che avvierà i negoziati con i talebani il 10 marzo.
L’intesa di Doha, firmata dall’inviato della Casa Bianca, Zalmay Khalilzad, e dal Mullah Abdul Ghani Baradar, prevede il cessate il fuoco permanente e il ritiro delle truppe americane entro 14 mesi, e non entro 18 com’era stato ipotizzato in passato, riducendo inizialmente il contingente a 8.600 unità dalle attuali 13mila entro qualche mese. Potrebbero restare solo contingenti di forze speciali per combattere i terroristi dell’Isis e di al-Qaeda. Il più importante impegno sottoscritto dai talebani è quello di combattere il terrorismo per impedire che con il ritiro delle truppe della Nato l’Afghanistan possa diventare una piattaforma jihadista.
Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che era presente ma non ha firmato l’intesa, ha precisato che gli Usa “non esiteranno ad annullare l’accordo” se i ribelli afghani non rispetteranno i loro impegni in materia di sicurezza e sull’avvio dei negoziati con il governo di Kabul e li ha invitati a “mantenere la promessa di una rottura con al-Qaeda” aggiungendo che hanno dimostrato di “poter raggiungere la pace quando hanno deciso di farlo”. Nell’intesa è previsto anche lo scambio di prigionieri tra Stati Uniti e talebani. Pompeo ha aggiunto che l’intesa “è una misura per garantire che l’Afghanistan non sarà più un trampolino di lancio per il terrorismo” e ha apprezzato “il ruolo del Qatar nel sostenere questo storico accordo”. Secondo il ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdul Rahman Al Thani, l’accordo è il primo passo per stabilire una pace globale in Afghanistan.
Tutti sono prudenti. Alla vigilia della firma il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, aveva detto che “la strada per la pace sarà lunga e dura, ci saranno battute d’arresto, ci sarà il rischio che vada male. Ma noi e il popolo afgano siamo impegnati per la pace” perché i talebani “non vinceranno mai sul campo di battaglia”. Stoltenberg ha ribadito che la Nato continuerà “a dare sostegno alle forze di sicurezza perché è il miglior modo per creare le condizioni per una soluzione negoziata”.
Anche i primi commenti della stampa americana sono prudenti perché siamo ancora lontani da una vera pace e, come ricorda il New York Times, in Afghanistan la corruzione è in crescita, le istituzioni sono fragili e l’economia dipende in buona parte dagli aiuti internazionali. Gli sforzi fatti finora per aiutare la popolazione, con un più importante ruolo delle donne e un maggiore tasso di istruzione rispetto a vent’anni fa, potrebbero rivelarsi vani se i talebani restaurassero rigide regole islamiche.
La firma rappresenta un punto fermo per Donald Trump che aveva puntato molto sul ritiro delle truppe prima delle elezioni presidenziali del prossimo novembre e, se davvero nei prossimi mesi ci sarà una svolta, potrebbe rivendicare un successo considerevole. L’avvio della riduzione delle truppe statunitensi costringerà la Nato a rivalutare la missione Resolute Support, valutazione che riguarderà anche l’Italia oggi impegnata con 800 uomini, 145 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei.