“L’Italia saprà gestire al meglio l’emergenza del coronavirus, ne sono certo, il vero problema è qui in Africa dove si muore ancora per il tetano e dove un possibile focolaio sarebbe difficile da gestire.” A parlare è il professor Aldo Morrone, sessantasei anni e da oltre trenta spesi per curare i più deboli e bisognosi in Etiopia.
Infettivologo di fama mondiale, direttore scientifico dall’Istituto San Gallicano di Roma lo abbiamo raggiunto al telefono mentre si trova nell’area del Tigrai, al confine con l’Eritrea dove sta lavorando sulla salute materno infantile e per cercare di ridurre la mortalità attraverso corsi di formazione e l’utilizzazione di ecografi e altre apparecchiature sanitarie, nella città di Shire. “L’Italia se lo aspettava l’arrivo del virus – spiega in questa intervista a Formiche.net – ed è preparata per affrontare questa emergenza, non credo ci saranno problemi da questo punto di vista se non dovuta alla paura ma dal punto di vista sanitario è stato fatto tutto il possibile, qui ad esempio non sono stati bloccati i voli diretti con la Cina”.
Sta dicendo che la vera emergenza è l’Africa?
Certo, fortunatamente non abbiamo ancora alcun caso positivo ma qui i sieri vengono mandati nei vari centri solo in alcuni paesi per fare il test sul coronavirus. C’è il rischio che la situazione non possa essere controllata come si dovrebbe, intere aree del continente non sono assolutamente pronte per gestire un eventuale rischio di epidemia. E non dimentichiamoci che qui è molto forte la presenza di lavoratori cinesi che rimane chiusa in casa, sia per un motivo di tutela sia per evitare quelle situazioni della caccia all’untore.
Perché non se ne parla?
L’Africa è sempre stata abbandonata al proprio destino, ha avuto diverse infezioni come l’ebola e zika, che ha anche oltrepassato l’oceano, ma in questa battaglia è stata lasciata sola così come nelle infezioni degli insetti come la malaria o la leishmania. Ci sono centinaia di milioni di casi e migliaia di decessi che sono passati sotto silenzio in Occidente, convinti che queste malattie non arrivassero mai in Europa o negli Stati Uniti. Qui c’è il dramma delle locuste, in alcune aree tra la Somalia e l’Eritrea e Gibuti e nel Sud Sudan c’è una vera e propria distruzione di campi che mette ancora più in ginocchio queste popolazioni.
Ma la comunità internazionale, l’Oms non dovrebbe fare di più?
Mi trovo nella regione di nascita del direttore generale dell’Oms che è Tedros Adhanom Ghebreyesus, un bravissimo biologo con il quale anni fa abbiamo dato vita al primo ospedale nella cittadina di Sheraro. Lui ha lanciato una campagna confrontando il coronavirus come il terrorismo per ottenere una solidarietà economica, finanziaria, professionale e scientifica non solo per l’Etiopia ma per tutta questa aerea del mondo che non è in grado né dal punto di vista tecnologico né economico di affrontare questa epidemia.
E non solo il coronavirus, sono tante le epidemie che dovrebbero essere affrontate con maggiore impeto…
Certo, nella Repubblica Democratica del Congo ci sono stati fino ad ora 3 mila morti per l’ebola che è ritornata nel silenzio generale dell’Occidente.
Non solo coronavirus, ma lei non si scoraggia mai?
Guardi tre donne su cinque qui morivano mentre davano alla luce i propri bambini in capanne fatiscenti. Da tre anni non è più morta nessuna donna, nessun neonato. Qui la natalità continua e vorremmo che anche i bimbi che nascono in queste aree remote e rurali avessero le stesse possibilità dei bambini che nascono in Occidente. Ho ascoltato in questi anni storie incredibili di sofferenza, ho cercato di comprendere meglio il senso di questa straordinaria umanità dolente ma sempre piena di speranza e che noi invece spesso consideriamo come pericolosi invasori. Certo noi parliamo del coronavirus, qui si muore ancora per il tetano.