Papa Francesco riporta i sogni e la poesia al centro del magistero. La sua esortazione Apostolica, Querida Amazzonia, accompagna il documento finale del sinodo, prima grande novità; coerente con l’orientamento di considerare i deliberati sinodali parte del magistero, non lo sostituisce come accadeva prima, ma lo assume integralmente e accompagna. Venendo al testo, si tratta di un ennesimo sforzo con al centro sogni e poesia, redatto per difendere il pluralismo. Ma non ci sono soltanto sogni e poesia. C’è anche umiltà e indignazione.
Un uomo profondamente cittadino, totalmente metropolitano, sa guardare ai popoli amazzonici e dire: “Gli abitanti delle città hanno bisogno di apprezzare questa saggezza e lasciarsi “rieducare” di fronte al consumismo ansioso e all’isolamento urbano.”
Quest’uomo, vescovo di Roma, scrive poi che “bisogna indignarsi, come si indignava Mosè, come si indignava Gesù, come Dio si indigna davanti all’ingiustizia. Non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizzino la coscienza sociale, mentre “una scia di distruzione, e perfino di morte, per tutte le nostre regioni […] mette in pericolo la vita di milioni di persone e in special modo dell’habitat dei contadini e degli indigeni”. La corrispondenza tra Papa Francesco e i suoi lettori, o commentatori, sarà data dal risalto che verrà dato a questa indicazione magisteriale rispetto alle valutazioni su cosa dica del celibato obbligatorio, tema mai citato in questo testo.
L’esortazione apostolica “Querida Amazzonia” parla infatti a tutti i cattolici e non solo a loro di questa necessità di indignarsi, adesso. E la spiega così: “Le storie di ingiustizia e di crudeltà accadute in Amazzonia anche durante il secolo scorso dovrebbero provocare un profondo rifiuto, ma nello stesso tempo dovrebbero renderci più sensibili a riconoscere forme anche attuali di sfruttamento umano, di prevaricazione e di morte. In merito al passato vergognoso, raccogliamo, a modo di esempio, una narrazione sulle sofferenze degli indigeni dell’epoca del caucciù nell’Amazzonia venezuelana: ‘Agli indigeni non davano denaro, solo mercanzia e a caro prezzo, così non finivano mai di pagarla, […] pagavano, ma dicevano all’indigeno: ‘Lei ha un grosso debito’, e doveva ritornare a lavorare […]. Più di venti villaggi ye’kuana sono stati completamente devastati. Le donne ye’kuana sono state violentate e amputati i loro petti, quelle gravide sventrate. Agli uomini tagliavano le dita delle mani o i polsi in modo che non potessero andare in barca […] insieme ad altre scene del più assurdo sadismo”.
Dunque la sfida è quella di capovolgere la globalizzazione dello sfruttamento e dell’orrore con la globalizzazione della solidarietà, senza marginalizzazioni. Recuperare il fattore culturale amazzonico è un valore enorme. Spiega l’esortazione apostolica: “Ora, senza sminuire l’importanza della libertà personale, va sottolineato che i popoli originari dell’Amazzonia possiedono un forte senso comunitario. Essi vivono così ‘il lavoro, il riposo, le relazioni umane, i riti e le celebrazioni. Tutto è condiviso, gli spazi privati – tipici della modernità – sono minimi. La vita è un cammino comunitario dove i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi in funzione del bene comune. Non c’è posto per l’idea di un individuo distaccato dalla comunità o dal suo territorio’. Le relazioni umane sono impregnate dalla natura circostante, perché gli indigeni la sentono e la percepiscono come una realtà che integra la loro società e la loro comunità.”
Ovviamente la richiesta non è quella di trasportare lo stile di vita amazzonico a Roma, o a Milano, ma di scoprire finalmente che “i gruppi umani, i loro stili di vita e le loro visioni del mondo, sono vari tanto quanto il territorio, avendo dovuto adattarsi alla geografia e alle sue risorse. Non sono la stessa cosa i popoli dediti alla pesca e quelli dediti alla caccia o all’agricoltura nell’entroterra, piuttosto che i popoli che coltivano le terre soggette a inondazioni. In Amazzonia incontriamo inoltre migliaia di comunità indigene, afro-discendenti, rivierasche e abitanti città, che a loro volta sono molto diverse tra loro e ospitano una grande diversità umana. Attraverso un territorio e le sue caratteristiche Dio si manifesta, riflette qualcosa della sua inesauribile bellezza. Pertanto, i diversi gruppi, in una sintesi vitale con l’ambiente circostante, sviluppano una forma peculiare di saggezza. Quanti osserviamo dall’esterno dovremmo evitare generalizzazioni ingiuste, discorsi semplicistici o conclusioni tratte solo a partire dalle nostre strutture mentali ed esperienze”. Invece “la visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità”. Dunque come il Documento sulla Fratellanza firmato ad Abu Dhabi, anche questa Esortazione Apostolica è un testo in difesa del pluralismo: “Fattori come il consumismo, l’individualismo, la discriminazione, la disuguaglianza e molti altri costituiscono aspetti fragili delle culture apparentemente più evolute. Le etnie che hanno sviluppato un tesoro culturale stando legate alla natura, con forte senso comunitario, avvertono con facilità le nostre ombre, che noi non riconosciamo in mezzo al preteso progresso”.
Il dato ecologico che lega il benessere della distrutta Amazzonia al benessere del mondo, la casa comune, è parte centrale del ragionamento che segue, e che rimanda all’enciclica Laudato si’. Ma Francesco sa dirci di più. Quello che spesso non si vuole sentire: “Per avere cura dell’Amazzonia è bene coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee, sempre però cercando di intervenire sul territorio in modo sostenibile, preservando nello stesso tempo lo stile di vita e i sistemi di valori degli abitanti”.
L’apertura culturale, la capacità plurale, porta poi papa Francesco a chiarire a quei tradizionalisti innamorati del folle gesto dell’uomo che rubò dalla chiesa Traspontina e gettò nel Tevere la statua della Madre Terra: “È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano. Alcune feste religiose contengono un significato sacro e sono spazi di riunione e di fraternità, sebbene si richieda un lento processo di purificazione e maturazione. Un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità inculturata. Sarà senza dubbio una spiritualità centrata sull’unico Dio e Signore, ma al tempo stesso capace di entrare in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa, che vogliono godere le belle realtà dell’esistenza, trovare la pace e l’armonia, risolvere le crisi familiari, curare le loro malattie, vedere i loro bambini crescere felici.”
Quanto alla Chiesa e i suoi sacramenti il papa ricorda che i sacramenti della Comunione e della Confessione sono riservati a chi ha l’Ordine Sacro, cioè ai sacerdoti. Solo loro possono. Nessuna parola viene spesa per indicare novità nelle caratteristiche necessarie per accedere al sacerdozio. Il tema evidentemente resta, ma al riguardo questo testo non presenta novità, ma ci sono nell’allegato – per così dire – del sinodo.