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Ankara alza la posta: cosa si rischia se Mosca tende la mano ad Assad

La porzione meridionale della provincia di Idlib, l’ultima area della Siria (a Nord) sotto controllo dei gruppi ribelli, è sotto una campagna di conquista guidata dalle truppe governative e dalle forze armate russe. All’interno di quella zona ci sono diverse organizzazioni dell’opposizione al regime assadista, man mano ammassate durante le operazioni che hanno portato i lealisti a riconquistare la stragrande maggioranza del territorio siriano.

I gruppi di Idlib sono piuttosto frammentati. Hanno visioni diverse e impegni diversi. A Idlib ci sono per esempio sia le forze del Tahrir al-Sham (HTS), gruppo ombrello che include gli ex qaedisti e posizioni anche jihadiste, sia quelle dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), che ha connessioni dirette con la Turchia ed esprime posizioni islamiste meno ideologiche e più politiche. Nonostante un accordo russo-turco per cercare di smilitarizzare la zona, da dicembre il regime ha iniziato le operazioni di conquista, che in queste ultime settimane sono diventate più intense.

L’avanzata governativa ha un obiettivo: ottenere il controllo dell’autostrada M5, quella che collega Damasco ad Aleppo (in un’immagine, qualcosa di simile all’arteria infrastrutturali tra Roma e Milano). Tutto passa da Sarabiq, snodo in cui la M5 si incrocia con la M4, autostrada che collega Aleppo a Latakia – città costiera che è il centro di movimento del regime di Bashar el Assad. Questi due lineamenti stradali hanno importanza strategica: rappresentano il confine della Siria che interessa al regime, quella produttiva e quella mediterranea collegata geograficamente con la porzione orientale del bacino, la più vivace.

La situazione – delicatissima dal punto di vista umanitario – è resa complessa dal punto vista politico e geopolitico dall’apparente contrasto tra Turchia e Russia. Ieri qualcosa come 200 blindati sono arrivati nella provincia di Idlib a presidio dei dodici check-point che i turchia gestiscono nell’area. Sono un ulteriore rafforzamento della presenza dovuto alla crisi in atto.

Il 3 febbraio sei soldati turchi sono stati uccisi da un bombardamento russo condotto a copertura dell’avanzata del regime. Mosca ha dichiarato che si è trattato di un errore, dovuto allo spostamento dei soldati di Ankara effettuato senza avvisare il centro di comunicazione congiunto. Tuttavia Recep Tayyp Erdogan ha ordinato e propagandato un contrattacco su 46 obiettivi siriani, uccidendo una trentina di soldati lealisti.

È stato un episodio delicatissimo. Russia e Turchia sono parti di un processo negoziale incrociato – quello di Astana – instaurato anni fa per creare un’alternativa ai negoziati onusiani a guida occidentale. All’interno di questo quadro, Mosca e Ankara prendono posizioni diverse, ma solitamente evitano colpi proibiti. Ma la situazione di Idlib è critica, perché con il futuro della provincia è in ballo quello dell’intero paese e delle sue fasce di influenza. Per questo i turchi non hanno risparmiato una contro-azione sul regime, reagendo a difesa dei propri interessi con forza, davanti a quella che hanno evidentemente considerato una situazione intollerabile.

La Russia a questo punto è messa in difficoltà, perché deve mantenere in piedi il dialogo strategico con la Turchia, ma allo stesso tempo non può sganciarsi dal sostegno al regime, dato che su Damasco ha scommesso la profondità geopolitica del suo intervento in Siria. Ankara vuole proteggere i suoi interessi a Idlib, dove si trovano forze ribelli che coordina e utilizza (alcune sono state spostate a seguire la penetrazione in Libia); il regime siriano ha tutta l’intenzione di riconquistare anche questa provincia ribelle.

Oggi la Turchia ha provato una carta propagandistica – basata certamente su una contingenza potenziale realistica – per usare una carta internazionale sopra alla crisi. “L’ondata di rifugiati, causata dall’offensiva delle forze di Damasco nella provincia di Idlib, potrebbe arrivare fino in Europa”, addetto il portavoce della presidenza turca, sottolineando che “se il processo, che è iniziato appena al di là dei nostri confini, non viene fermato immediatamente, inizierà un nuovo e più grande afflusso di rifugiati, che alla fine raggiungerà le capitali europee”. Ankara cerca di far pressione su un tema caldissimo, l’immigrazione, che è l’unico che ha appeal sull’Unione europea – che invece sembra aver abbandonato interessi di carattere più politico sulla Siria.

Secondo un’analisi prodotta da Matteo Colombo dell’Ispi, “una possibile soluzione” alla crisi innescata nei rapporti russo-turchi “potrebbe essere spingere per un cessate-il-fuoco ad Idlib” e “rimandare la decisione finale sulla regione ad una conferenza specifica sul futuro della Siria”. Per Colombo, questa mediazione dovrebbe includere anche “una decisione finale sulle zone ancora controllate dalle milizie curde del Partito dell’Unione Democratica (PYD), che la Turchia considera come un’estensione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e perciò ostile”. In questo senso, la volontà da parte di Mosca sarebbe quella di evitare uno scontro tra turchi e siriani, che poi potrebbero raggiungere insieme una soluzione più larga, sebbene “l’obiettivo di trovare una soluzione accettabile per Ankara e Damasco sul futuro della Siria rappresenta una sfida molto complicata per la diplomazia russa”.



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