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Non solo penale. Perché non sottovalutare la procedura civile

Il dibattito politico è attualmente monopolizzato dalla riforma della procedura penale e dal tema della prescrizione. Il calore di questo dibattito ha distolto l’attenzione sul fatto che il 5 dicembre scorso è stato depositato lo schema di disegno di legge di delega al governo (ai sensi della legge 400 del 1988) per la riforma del codice di procedura civile.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il percorso indicato in questo schema non promette miglioramenti significativi. Innanzi tutto una considerazione di tipo generale. Quest’anno, in occasione del discorso che rivolge agli italiani l’ultimo giorno dell’anno, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha mostrato una foto dell’Italia ripresa dalla stazione orbitante attorno alla Terra ed inviata dal nostro astronauta Luca Parmitano. L’invito del Presidente è stato quello di prendere distacco dalla situazione italiana, se vogliamo risolvere i nostri problemi.

Guardiamo all’Italia dal di fuori dell’Italia se vogliamo crescere! Orbene lo schema di disegno di legge in questione non fa questo salto di qualità e ricerca la risoluzione dei problemi della nostra procedura civile continuando a rimestare nell’armamentario concettuale esistente senza prendere distacco dalla nostra situazione e dalle cause che la determinano, nel bene e nel male. Per quanto riguarda la procedura civile il problema fondamentale è la durata dei processi, talmente lunga da rendere in concreto vuota la possibilità di forzare l’esecuzione di un contratto.

Questo determina grandi difficoltà alla macchina economica e scoraggia gli investimenti stranieri. In soldoni, questa situazione è determinata da due fattori:

(1) L’accresciuta vitalità economica della società contemporanea che aumenta le occasioni di conflitto e, quindi, di controversia tra le persone fisiche e giuridiche.

(2) Il bisogno degli avvocati di garantirsi un reddito minimo di sopravvivenza. La prima situazione vede l’Italia in compagnia della maggior parte dei paesi sviluppati. La seconda situazione è tutta italiana. Nel solo mandamento di Roma esistono tanti avvocati quanti ce ne sono in tutta la Francia. È noto che motto del nostro avvocato è “causa che pende cliente che rende”.

Un modo di far fronte alle conseguenze del primo fenomeno (l’aumentato numero di controversie dovuto all’aumentata vitalità economica) consiste nel forzare un tentativo di mediazione prima di poter aver accesso alla giustizia dello Stato. Da noi la mediazione obbligatoria ha sempre avuto vita difficile. Introdotta, a seguito di una Direttiva Ue del 21/05/2008 relativa alle controversie transfrontaliere, con il Dlgs 28 del 2010 la mediazione fu resa obbligatoria al di là delle controversie transfrontaliere (casi di responsabilità civile automobilistica, di responsabilità medica, contratti di assicurazione, servizi bancari e finanziari, casi in materia di locazione, di condominio, di eredità etc.).

Dichiarata incostituzionale con sentenza della Corte Costituzionale 272/2012 la mediazione obbligatoria è stata reintrodotta con il Dl 69/2013 (convertito con la Legge 98/13). Ora tale mediazione obbligatoria viene di fatto eliminata. Il ministro Alfonso Bonafede ha dichiarato che la mediazione obbligatoria si era dimostrata un aggravamento inutile. Orbene il fatto è che la mediazione attualmente viene regolata dalla legge come se si trattasse di una sorta di rito alternativo, con tutti gli orpelli formali del caso. È qui che si segnala la incapacità del nostro legislatore di percorrere strade diverse da quelle conosciute. La mediazione non ha niente in comune con i principi del diritto.

Getting to yes è un processo esclusivamente psicologico dove le parti devono essere portate ad uscire dalla logica “chi ha ragione su cosa” per essere portate a ragionare sul piano della convenienza pratica. Qui si tratta di fare un grosso passo in avanti verso la secolarizzazione della cultura giuridica. Invece, anziché modificare la normazione sulla mediazione obbligatoria, la si abolisce. Nulla viene fatto per controllare accessi alla giustizia ingiustificati e motivati solo dal fatto che gli avvocati hanno disperato bisogno di far cassa. Oggi l’avvocato (di fatto una parte non un super partes) ha il potere di convocare una controparte anche senza motivazioni giustificate, senza dover passare dal vaglio di un magistrato che valuti la fondatezza del caso. Un vaglio di questo tipo va introdotto proprio per far fronte ad una patologia tutta italiana; l’avvocato che non ha interesse a risolvere le controversie ma a crearsi occasioni di reddito.

Al contrario viene data occasione ulteriore all’avvocato di espandere la sua sfera (e, quindi, il suo potere di fatturazione) investendolo di competenze nella fase istruttoria. Anche qui si resta intrappolati negli schemi esistenti. Nulle viene poi detto in merito ad una caratteristica tutta italiana (comune sia alla procedura penale che a quella civile con l’eccezione di quella del lavoro): il fatto che la motivazione viene stesa dopo la emanazione del dispositivo.

Questo ha due conseguenze gravi:

1) da una parte la motivazione diviene una sorta di giustificazione.

2) Da un’altra parte la decisione non è necessariamente frutto di una deliberazione ponderata ma di un moto dell’animo più o meno improvviso basato anche su incontrollabili ed umanissime reazioni psicologiche del magistrato. Obbligare a stendere la motivazione prima del dispositivo contribuirebbe a mettere tutto il processo su dei binari certi rafforzando il potere di guida del processo da parte del magistrato.

Poco o nulla viene detto sull’organizzazione del lavoro, peraltro un elemento fondamentale della fluidità e rapidità del processo. Si fa solo cenno al fatto che si deve utilizzare la strumentazione informatica e telematica. L’utilizzo di tale strumentazione dovrebbe essere obbligatorio oramai da tempo. Il fatto è che molti magistrati richiedono una “copia di cortesia” cartacea della documentazione inviata per via telematica. Con buona pace della certezza che la documentazione cartacea (informale, su cui si basa però la decisione) corrisponda a quella telematica (formale ma ignorata). Qui sarebbero auspicabili iniziative ispettive e disciplinari.

Un ruolo importante relativamente alla speditezza del processo è dato dal rapporto tra magistrato e cancelleria. Là dove ad ogni magistrato corrisponde un segretario di supporto i tempi sono più lunghi delle corti dove il personale di cancelleria è opera come un pool autonomo sottoposto unicamente al Cancelliere. Il quale Cancelliere dovrebbe ritornare ad essere il garante della procedura anziché una sorta di super segretario del magistrato. Nel caso della procedura civile come in tutti gli altri casi in cui dobbiamo uscire da una situazione di stallo, dobbiamo smettere di cercare la soluzione ai nostri problemi negli schemi abituali: dobbiamo uscire dalla nostra situazione e saperla considerare con distacco, dall’esterno.

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