Il dibattito al calor bianco tra i due azionisti di governo sul tema della giustizia segnala che stiamo girando ancora attorno al nostro dito pollice e non abbiamo capito che bisogna fare un salto di qualità. Proverò qui a segnalare tre o quattro punti emblematici di che cosa intendo dire con “salto di qualità”.
GIUSTIZIA CIVILE
Ad avere il coraggio di guardare la situazione reale, il problema di base della giustizia civile consiste nel fatto che molti (probabilmente la maggior parte) dei casi introdotti davanti al giudice civile non avrebbero mai dovuto esser portati in giustizia. Questo perché? Perché, per un retaggio della tradizione romana di più di un paio di millenni or sono, un qualunque avvocato (quindi un privato non dotato di pubblica potestà) ha il potere di forzare un altro privato (un cittadino e/il suo avvocato) a presentarsi davanti al giudice il giorno e all’ora da lui decisi. Si noti che il giudice ha la facoltà di modificare tale data e tale ora se, accidentalmente, a quella data e a quell’ora fosse già impegnato!
Inutile dire che gli avvocati non sanno resistere alla tentazione di portare in giustizia qualunque cosa pur di poter fatturare un cliente. L’alto numero degli avvocati italiani (è noto che nel solo mandamento della Corte di Appello di Roma ci sono all’incirca tanti avvocati quanti ne operano in tutta la Francia), è riconducibile in buona parte a questa pratica scellerata.
Al di sopra delle Alpi, l’avvocato del cittadino privato (da noi detto ritualisticamente “attore”) che volesse convocare in giustizia un altro privato (da noi detto ritualisticamente “convenuto”) deve chiedere al giudice (l’unico che in questo frangente dispone della potestà pubblica) di convocare la controparte. Il giudice convoca la controparte solo se chi richiede tale convocazione sia in grado di provare che ha motivo per farlo. Altrimenti, non solo non attiva la sua pubblica autorità e rifiuta di convocare la controparte, il giudice non può fare a meno di pensare che l’avvocato che gli ha chiesto la convocazione senza averne motivo è un professionista poco serio che gli ha fatto perdere del tempo prezioso. Personalmente sono a conoscenza diretta di casi in cui il giudice ha fatto un vero e proprio “cazziatone” all’avvocato che ha osato chiedergli una convocazione senza averne motivo.
Né vale invocare il fatto che si tenta di arginare l’afflusso in entrata di domanda di giustizia civile avendo reso obbligatorio il tentativo di conciliazione. La conciliazione è concepita dal nostro legislatore come una sorta di processo civile di seconda classe. La logica della conciliazione è completamente diversa da quella della giustizia. La conciliazione all’italiana si trasforma in un aggravio per il richiedente giustizia.
Non troppi anni or sono, quando ero distaccato in qualità di docente stabile alla Sna (Scuola Nazionale di Amministrazione), con i responsabili delle cancellerie civili di alcune cancellerie civili dell’Emilia Romagna abbiamo calcolato il costo pieno (quindi non stimato) di una sentenza civile. Riassuntivamente è emerso che: (i) i dati su tali costi non sono disponibili nelle varie sedi giudiziarie ma vanno ricercati (si dovrebbe dire esumati) a Roma al ministero della Giustizia (il che significa che nelle varie corti non è possibile svolgere una seria funzione di direzione manageriale); (ii) a seconda dell’organizzazione del rapporto giudice cancelliere, il costo di una sentenza variava sino al 200% (il costo più basso lo si ha quando non esiste una assegnazione diretta e fissa del personale di segreteria a ogni singolo giudice ma quando le operazioni di cancelleria vengono eseguite dagli uffici di cancelleria senza che il singolo giudice possa avanzare delle istanze a singoli segretari); (iii) i diritti di segreteria sono sempre superiori al costo reale della sentenza, per cui interesse fondamentale dello Stato è quello di non incidere veramente sul meccanismo per renderlo più fluido!
GIUSTIZIA PENALE
Due cose colpiscono chi osserva dall’esterno (=dal nord delle Alpi) ma con occhio esperto il funzionamento della nostra giustizia penale: (i) l’interpretazioni latente ma costante del concetto di indipendenza della Magistratura e (ii) il modo di concepire l’”intima convinzione” del giudice. Vediamo i due punti separatamente. Vediamo i due punti separatamente.
Per quanto riguarda l’indipendenza della magistratura, Giovanni Sartori (riprendendo un concetto elaborato a suo tempo da Benjamin Constant), a proposito del concetto di libertà, distingueva la “libertà da” (costrizioni esterne) dalla “libertà di” (fare qualunque cosa). In uno Stato di diritto, il pubblico funzionario (e, quindi, il giudice) deve vedersi garantita la “libertà da” ma non può assolutamente avere la “libertà di” fare quello che vuole. Questa distinzione non fa parte del bagaglio culturale del nostro giudice. Da qui il rifiuto di introdurre meccanismi di valutazione dell’operato del magistrato e di differenziare la progressione di carriera secondo il merito.
Per quanto riguarda “l’intima convinzione del magistrato”, va preso atto del fatto che il nostro magistrato non ha alcuna formazione né in logica né in metodologia. È noto che qualunque attività di ricerca si deve necessariamente articolare in due momenti: il momento della elaborazione dell’ipotesi e il momento della verifica dell’ipotesi. L’“intima convinzione”, in uno stato secolarizzato, può applicarsi solo al momento dell’elaborazione dell’ipotesi ma non a quello della verifica che deve rispondere rigidamente ai canoni della logica. Questa articolazione non si riscontra nelle mappe cognitive dei nostri operatori di giustizia. Da qui l’obbrobrio secondo il quale la motivazione della sentenza va scritta dopo la sentenza, di cui scade da motivazione a giustificazione. Sopra le Alpi la sentenza è il risultato della motivazione. Motivazione di solito di non più di un paio di pagine, di fronte a motivazioni di casa nostra anche di migliaia di pagine.
Come per gli appalti (dove è inutile modificare continuamente il codice se non formiamo tecnici capaci di stendere capitolati seri e non formiamo ispettori in grado di verificare se il lavoro fatto corrisponde a quanto previsto dal capitolato), nella giustizia non usciremo dalla situazione indecorosa in cui ci troviamo se non ci rendiamo conto che la soluzione sta al di fuori delle mappe cognitive cui siamo abituati.