È scomparso oggi a Roma il generale Lamberto Bartolucci, già apprezzatissimo capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare (1980-83) e della Difesa (1983-86). Era ricoverato da circa due settimane all’ospedale militare del Celio, a Roma dopo essere stato investito mentre traversava la strada sulle strisce pedonali.
Era nato il 21 giugno 1924 a Orbetello (Grosseto), dove il padre Filippo (1895-1966) prestava servizio come sottufficiale montatore. Dopo aver partecipato a due crociere balbiane (Mediterraneo orientale nel 1929 e Atlantico del nord nel 1933), Filippo Bartolucci proseguì la carriera sino al grado di capitano – il massimo previsto per il suo ruolo – presso il Reparto sperimentale volo, non prima di aver trasmesso la propria passione al figlio.
Iniziati gli studi classici a Roma, il giovane Lamberto passò al Collegio aeronautico di Forlì dove si diplomò nel 1942, entrando quindi nell’Accademia aeronautica con il corso Aquila II. L’armistizio colse l’Accademia a Forlì, da dove Bartolucci rientrò a Roma per prendere parte alla resistenza insieme al padre. Ripresentatosi in servizio dopo la liberazione della capitale, completò gli studi in Accademia e nel 1949 conseguì il brevetto di pilota militare.
La sua prima assegnazione fu al 5° Stormo caccia, che preferì al 4° per onorare la memoria di un amico caduto proprio con il 5°. Nel 1957 creò tra l’altro il nuovo distintivo del proprio 101° Gruppo. Nel 1961, da maggiore, ebbe la responsabilità del programma dell’addestramento iniziale dei piloti destinati al nuovo F-104G. Trasferito alla 3a Aerobrigata, ne comandò prima il 132° Gruppo e quindi il reparto volo. Nel 1970 comandò il 36° Stormo. In Puglia tornò nel 1974 da generale di brigata per comandare il 3° Regional operation center (Roc), il centro operativo della terza regione aerea.
La sua esperienza di Stato maggiore comprese prima l’area logistica, dove contribuì a delineare la nuova linea di volo della forza armata, e quindi quella operativa, culminata nell’incarico di capo del 3° Reparto operazioni nel biennio 1974-75. Da generale di divisione aerea guidò il Comando trasporti e soccorso aereo, per passare quindi nell’agosto 1976 a guidare l’Ispettorato telecomunicazioni e assistenza al volo. In tale veste, ormai di squadra, visse la difficile smilitarizzazione dei controllori di volo, con un comportamento tanto equilibrato da indurre gli stessi controllori a chiederne la nomina alla guida del Commissariato per l’assistenza al volo.
L’ottima prova data in tale difficile frangente fu probabilmente alla base della nomina a capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, incarico che assunse il 2 aprile 1980 e nel quale volle al suo fianco come sottocapo lo stimatissimo compagno di corso Franco Ferri (1923-2010). Fu quindi nominato capo di Stato maggiore della Difesa, incarico che resse dal 13 ottobre 1983 all’8 gennaio 1986 e che coronò una brillante carriera svoltasi tutta nel segno della fedeltà all’Italia e al dovere militare.
Dopo aver lasciato l’incarico, per raggiunti limiti d’età, al generale Riccardo Bisogniero, fu indagato, insieme a Ferri e altri colleghi, per il presunto depistaggio delle indagini sul disastro aereo di Ustica del 27 giugno 1980. L’accusa, assolutamente infondata, lo addolorò profondamente e fu solo parzialmente compensata dalle numerose attestazioni di stima e di affetto de colleghi. L’infinito iter giudiziario si concluse per tutti con ripetute assoluzioni, divenute definitive il 10 gennaio 2007 con sentenza della corte di Cassazione.
Sposato con Giovanna Bottagisi, discendente di Mario Calderara, primo pilota italiano, ebbe tre figli, Flavia, Michela e Andrea, che proseguì le tradizioni aviatorie della famiglia entrando in Accademia con il corso Urano III per diventare pilota di F-104 e transitare quindi all’attività civile.