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Casini al centro. La lezione di un Dc doc

Il giornale Il Manifesto in epoche d’oro avrebbe titolato, forse, alla sua maniera “Casini al centro”. Pier Ferdinando Casini, leader democristiano doc, area destra Dc, ex allievo di Arnaldo Forlani, protagonista dell’infangato CAF, Craxi, Andreotti, Forlani, che in realtà fu baluardo di libertà contro il totalitarismo, non è più il big di una volta.

Eppure, Casini, spesso denigrato come “Pierfurby”, in un mezzogiorno di fuoco nell’aula del Senato, che poi dirà sì al processo a Matteo Salvini, con tanto di banchi del governo Conte/2 vuoti, rimette al centro, anche nel senso della storica area di cui ormai è ultimo storico testimone, la difesa del primato della politica, delle istituzioni, le responsabilità che a suo avviso nella vicenda Gregoretti avrebbe un allora premier, senza l’assenso del quale, ricorda da politico di lungo corso, da ex presidente anche della Camera, un ministro dell’Interno difficilmente avrebbe potuto agire.

Va in onda l’inimmaginabile. Quell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, capo della Lega, primo partito italiano, stando alle Europee, a quasi tutte le Regionali, ai sondaggi, erede della Lega Nord di Umberto Bossi che scherniva “i democristianoni”, elogia e ringrazia per “la sua libertà di pensiero il senatore Pier Ferdinando Casini”, così dice Salvini.

Casini, eletto in “quota Casini” con il Pd, elettore nella sua Bologna di Stefano Bonaccini, ricorda che sui principi, come quello che la politica non può esser messa a processo dalla magistratura, non si transige e che gli avversari vanno sconfitti politicamente, “non per via giudiziaria”. Stefano Candiani, senatore, big leghista in un colloquio informale con la cronista: “Casini più che il garantismo oggi ha difeso il primato della politica e si è dimostrato vero uomo delle istituzioni”.

Chi l’avrebbe mai detto? Il “democristianone” che riceve così importanti riconoscimenti dai leghisti, Lega nazionale Salvini premier? Eppure chi conosce un po’ “Pierferdy” da cronista politica parlamentare di lungo corso non si stupisce più di tanto del no di Casini al processo a Salvini. Un’immagine soprattutto resta nella memoria. Era il 20 gennaio del 2000, Casini fu forse il primo, o tra i primi, non socialisti, a prendere l’aereo per Tunisi per raggiungere la famiglia Craxi a Hammamet e portare condoglianze e conforto dopo la morte un giorno prima dell’ex premier Bettino Craxi.

Arrivarono subito anche esponenti di Forza Italia, rappresentata il giorno dopo ai funerali da Silvio Berlusconi, in persona. Ma quel gesto molto umano di Casini il giorno prima dei funerali rimase impresso. Lui allora esponente del centro alleato con il Cavaliere andò in Rout El Fawara, come un amico, come si fa in genere, il giorno prima dei funerali, con un parente stretto. Testimonianza umana, eleganza e classe di un Dc di lungo corso. Ormai ultimo erede di quella tanto deprecata Prima Repubblica, che però difende sempre i principi base della politica, quella con la P maiuscola in Parlamento.

Stefania Craxi, senatrice Fi, vicepresidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, di fatto gli dà ragione: “Non ha vinto Salvini, non hanno vinto altri. Ha perso la politica, la sua autonomia”. Quella che “Pierferdy” ha difeso, “centrando” il tema alla grande rispetto ad altri nuovi e più giovani competitor “centristi”.



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