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Renzi? Non ci fidiamo. Con Meloni nessun derby. Parla Centinaio (Lega)

Non ci si può sbagliare. Gian Marco Centinaio è sempre lì, a Palazzo Madama, seduto alla destra del leader Matteo Salvini, quando il leader c’è, specie durante le sue arringhe più teatrali, dall’affondo iniziale contro il governo rossogiallo al Mes fino all’autorizzazione a procedere per il caso Gregoretti. Nella bolgia dell’aula, l’ex ministro dell’Agricoltura è solito guardare con aria di sfida all’altra parte dell’emiciclo, agli onorevoli dei Cinque Stelle. Fu lui tra i primi a suonare il requiem del governo gialloblù. Ora vuole rispedirli in fretta all’opposizione, ma alle urne, non con un altro ribaltone in Parlamento che, confida a Formiche.net, un po’ “fa paura”.

Centinaio, eppure tutti parlano di un patto Renzi-Salvini.

Renzi è stato il papà del governo, ora vuole diventarne il sicario. Lo conosciamo, è capace di tutto e il contrario di tutto, è come quei bambini che gridano “ti picchio” e poi non fanno nulla.

I responsabili ci sono. Anche ex di Forza Italia, e non solo ex, dicono.

Questo è poco ma sicuro. Si sono fatti eleggere con i voti del centrodestra, ora appoggiano un governo di Cinque Stelle, Pd e Leu. Il bello è che molti di questi signori sono gli stessi che due anni fa ci criticavano perché avevamo fatto, con l’assenso di Berlusconi, il governo gialloverde.

Insomma, molto rumore per nulla.

A meno che non succeda il finimondo, anzi un miracolo, questa sarà la fotocopia della scorsa legislatura. Ci sono colleghi disposti a tutto. Una volta una parlamentare in un corridoio mi ha confessato: “Giamma, sono una miracolata, da qui al 2023 voterei anche un governo con Stalin o Hitler”.

Siete sicuri che direste no anche a un governo elettorale, per portare in sei mesi e poco più il Paese al voto?

Un terzo governo, lo dico con sincerità, mi fa paura. Ci ritroveremmo il Movimento Cinque Stelle all’opposizione, sotto il continuo bombardamento di chi ha devastato questo Paese. Preferirei di no.

C’è chi teme che Renzi voglia fare il nuovo Berlusconi, e prendersi la gamba moderata del centrodestra.

Anche io gioco a calcio e ho sempre avuto il mito di Hernan Crespo, ma non si può avere tutto (ride, ndr). Renzi rimane sempre lo stesso, non c’è spazio per lui nel centrodestra.

Anche voi vi siete un po’ moderati. Che ne pensa della “svolta giorgettiana”?

Più che “svolta giorgettiana”, mi sembra si possa parlare di una svolta positiva del partito. Salvini e Giorgetti hanno deciso insieme che la Lega deve essere molto più organizzata, di qui il lancio dei dipartimenti e dei nuovi responsabili.

Con più del 30% non si può stare sempre in trincea.

Mettiamola così. Serve più consapevolezza, e anche un po’ di responsabilità verso gli elettori. La riorganizzazione del movimento va in quella direzione. È un movimento che ragiona sì a slogan, perché la politica mediatica non ne può fare a meno, ma va molto oltre, e ha avviato una riflessione.

Sulla politica estera, ad esempio. Perché un viaggio negli Stati Uniti?

Su questo non ci muoviamo di un millimetro. Con gli Stati Uniti abbiamo una visione comune di come devono andare le cose, e difendiamo la collocazione atlantica del Paese. Poi ovviamente rimaniamo dell’idea che l’Italia debba avere una sua autonomia.

E infatti rimanete contrari alle sanzioni Ue alla Russia.

Non ce lo chiede la politica, ce lo chiede l’economia. L’agroalimentare e il turismo hanno sempre visto nella Russia un interlocutore. Toglierlo vuol dire perdere miliardi di euro. Se ci aggiungiamo il disastro diplomatico sul coronavirus con la Cina e le conseguenze che può avere sul comparto, la situazione diventa insostenibile.

Capitolo Europa. Salvini ha parlato di un maxi-gruppo a Strasburgo. È un modo per uscire dall’angolo?

È sotto gli occhi di tutti, lo dicono anche i nostri europarlamentari, che per come sono fatti oggi il Parlamento europeo e l’Europa, nonostante il successo delle elezioni di maggio, non riusciamo a incidere quanto vorremmo.

Su questo campo si gioca il derby con la Meloni, che in Europa sta con i conservatori.

Mettiamo le cose in chiaro: con la Meloni non c’è concorrenza, Lega e Fdi hanno storie e interlocutori diversi. Siamo nel centrodestra con Berlusconi e Meloni da anni.  Abbiamo fatto le regole insieme: chi ha più voti fa il leader. Funzionava così quando in testa alla coalizione c’era Berlusconi, vale lo stesso oggi che ci sono Salvini e la Lega.

Quindi alle regionali rispetterete i patti? Ad esempio, Raffaele Fitto in Puglia non si tocca?

Non so ancora i dettagli. Salvini, Berlusconi, Meloni e Toti si devono mettere dentro a una stanza, ragionare, anche litigare se serve, e poi uscire con un nome che tutti, nessuno escluso, sono tenuti a rispettare. Magari evitando di ripetere gli errori fatti in Emilia-Romagna, dove Salvini ha corso come un matto, ha portato la croce fino alla fine, e poi si è sentito rinfacciare il nome scelto ex post.

Per la corsa al Campidoglio si riproporrà il problema. Volete un nome vostro o troverete un compromesso con la Meloni?

Lo schema deve essere lo stesso delle regioni. Il nostro obiettivo è vincere, il nome è importante ma non è tutto.

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