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Idlib e non solo. La Chiesa dopo Bari ha un compito: capire (e applicare) Francesco

“Mentre siamo riuniti qui”… Questo il senso che papa Francesco ha donato all’incontro di Bari che i vescovi italiani hanno voluto dedicare per cinque giorni al Mediterraneo. La realtà subito dopo queste parole ha fatto irruzione tra le riflessioni, a volte forti e incisive, altre volte ovattate, mediate.

“Cari fratelli e sorelle, mentre siamo riuniti qui a pregare e a riflettere sulla pace e sulle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, sull’altra sponda di questo mare, in particolare nel nord-ovest della Siria, si consuma un’immane tragedia. Dai nostri cuori di pastori si eleva un forte appello agli attori coinvolti e alla comunità internazionale, perché taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli e degli indifesi; perché si mettano da parte i calcoli e gli interessi per salvaguardare le vite dei civili e dei tanti bambini innocenti che ne pagano le conseguenze. Preghiamo il Signore affinché muova i cuori e tutti possano superare la logica dello scontro, dell’odio e della vendetta per riscoprirsi fratelli, figli di un solo Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi.”

Era mezzogiorno, il momento della retina dell’Angelus, dopo una funzione durante la quale aveva pronunciato un’omelia impegnativa e ricca di novità. Ma è stata quell’indicazione, e quell’appello per gli assiderati, in gran parte bambini, di Idlib, che ha scosso l’incontro, riportando la discussione a guardare in faccia la realtà della più oscena crisi umanitaria del secolo. Sono infatti almeno 900 mila gli sfollati di Idlib, alcuni di loro giunti al quarto o quinto sfollamento nel corso di c alcune settimane. Crisi tremenda, si può dire a piena ragione “da far gelare il sangue”, ma trascurata.

Molti di loro vivono per strada, o cercano ricovero sotto un albero, chi può in macchina, o in una casa diroccata dalle bombe con cui russi ed esercito siriano attaccano non solo postazioni militari, ma anche loro, gli ospedali. Erdogan si oppone e contrasta militarmente per conquistare territorio siriano lungo i suoi confini o comunque evitare che i curdi siriani si collegano ai curdi turchi. In questo caso accatastare in una striscia di montagne da lui occupata un milione di profughi andrebbe bene. Il problema è che la popolazione siriana complessiva in quei territori, e che Assad non vuole nel suo Paese, arriva a 3,5milioni. Per questo in Europa nessuno ha fiatato, per paura di una nuova ondata di profughi e non innervosire Erdogan, che gestisce i fuggiaschi aprendo o chiudendo il confine, né Assad, che gestirà la ricostruzione.

Questo silenzio, che ha visto le fotografie dei bambini assiderati tra il muro costruito da Erdogan e la spinta di fuoco a mettere tutti in fuoco data dall’esercito di Assad e dai mig di Putin, è stato rotto da Francesco. E la fratellanza, la carità, è entrata nella realtà dell’incontro di Bari e di chiunque lo abbia seguito. Di tutti gli estremismi che ci sono nel Mediterraneo e non solo, aveva detto Francesco durante l’omelia, solo “l’estremismo della carità” è ammissibile.

Integralisti, identitaristi, nazionalisti, jihadisti, sono tutti respinti da un estremismo solo ed efficace: quello della carità. Per Idlib, abbandonata non solo dall’Europa, ma da tutta la comunità internazionale ad eccezione della commissione dei i Diritti umani dell’Onu, è un giorno storico. Come lo è per i fedeli cristiani. L’appello del papa che ha firmato il documento sulla fratellanza riguarda notoriamente una popolazione quasi tutta musulmana, e la fratellanza e umanità diventano dunque realtà, non parole spese solo quando riguardano i propri.

Sono parole che sanno portare al di là anche dei rancori, dei risentimenti legati al passato, o ad azioni di alcuni rispetto a milioni di innocenti vittime indifese. La civiltà dell’incontro, della pace, della fratellanza è questo e in quanto tale presuppone diversità. Ecco allora che l’idea di fare del Mediterraneo un luogo teologico, cioè un luogo privilegiato per capire la realtà, diviene un obiettivo di assoluta rilevanza, e non solo per i cristiani. Anche gli altri, tutti gli altri, sono interpellati da questo invito. Un invito che il papa infatti ha portato oltre i confini dell’appartenenza. “C’è bisogno di elaborare una teologia dell’accoglienza e del dialogo, che reinterpreti e riproponga l’insegnamento biblico. Può essere elaborata solo se ci sforza di fare il primo passo e non si escludono i semi di verità di cui anche gli altri sono depositari.”

Anche con questo appello, forte soprattutto nella sua solitudine, per Idlib Francesco il primo passo l’ha fatto. Senza chiedere ritorni, o contropartite. Ha avviato un processo. “Troppo spesso la storia ha conosciuto contrapposizioni e lotte, fondate sulla distorta persuasione che contrastando chi non condivide il nostro x credo stiamo difendendo Dio.” In effetto in quel “contrasto” c’è l’inizio della strada che porta alla guerra, e peggio ancora.

La Chiesa dopo Bari ha un compito arduo: capire e applicare Francesco.



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