Il coronavirus, almeno per il momento, non c’entra nulla. Ma gli investimenti cinesi nel calcio cominciano a fare un po’ acqua da tutte le parti. Se prima era toccato al Milan restare appeso alle trattative di Mister Li che aveva acquistato due anni fa il club rossonero da Silvio Berlusconi, oggi è la volta di un’altra società cinese che ha deciso di abbandonare gli investimenti nel Parma Calcio, la Link International di Hong Kong non ha sottoscritto l’aumento di capitale e ha detto addio così al club emiliano. Cosa sta succedendo? Si sgonfiano le mire calcistiche dei cinesi nel gioco del pallone?
“A differenza del calcio inglese e spagnolo, gli investimenti nel calcio italiano in questo momento sono a perdere” spiega a Formiche.net il market strategist di Ig Group, Vincenzo Longo “e i cinesi piano piano se ne stanno rendendo conto. Era già successo con il Milan, oggi con il Parma e anche quello di Suning nell’Inter non sta andando benissimo, nonostante la squadra quest’anno sia messa meglio delle scorse stagioni. Quel che è certo è che sta tramontando l’idea che gli investimenti cinesi potessero salvare il calcio italiano”. Ma cosa porta gli investitori cinesi a fare un passo indietro così evidente? “I motivi sono tanti – continua Longo – in primo luogo la mancanza di stadi di ultima generazione che compromettono il business delle aziende senza dimenticare il tema dei diritti televisivi che restano nel mondo del calcio uno dei pochi asset in utile ma che sono sempre appannaggio di pochi club e quasi sempre gli stessi”.
Intanto a Parma la notizia del ritiro dei cinesi di Link International non sembra essere vissuta come un dramma, anzi al contrario il management del gruppo sembra essersi rafforzato e oggi riunisce i “sette moschettieri parmigiani” che più hanno creduto nel progetto, ovvero le famiglie Barilla, Dallara, Del Rio, Ferrari, Gandolfi, Malmesi e Pizzarotti che avevano rifondato il club nel 2015 riportando in serie A e rendendo la squadra nuovamente competitiva. “In una società di capitali ci sono obblighi e tempistiche la cui inottemperanza prevede conseguenze ineluttabili” – ha spiegato il presidente Marco Ferrari -. “Abbiamo un profondo e totale rispetto per la difficile situazione in Cina, ma Link avrebbe potuto e dovuto adempiere ai suoi obblighi sin dal 12 dicembre scorso. Non c’è stato alcun ragionevole motivo che possa giustificare un inadempimento rispetto alle scadenze e alle norme di legge. Nulla cambia, ovviamente, per il Parma Calcio, i cui piani di sviluppo continueranno ad essere supportati”.
Sullo sfondo resta il tema comunque delle ambizioni della Cina nel calcio mondiale, basta ricordare i piani che il presidente cinese Xi Jinping che voleva trasformare la Cina in una potenza calcistica mondiale, proponendo addirittura la candidatura di Pechino per i Mondiali di calcio del 2030. Per questo aveva varato nel 2018 un poderoso piano di sviluppo calcistico nel Paese con la creazione di 50mila scuole di calcio entro il 2025, inserendo il calcio come materia curricolare all’interno di numerose scuole sparse in tutta la Cina. Per raggiungere questi risultati il presidente cinese ha creato inoltre una vera e propria task force incaricata di promuovere il gioco del pallone ai più alti livelli, al pari quasi di altre task force attive nel settore economico, della sicurezza informativa e militare. Ma qualcosa non sta funzionando a dovere e lo stesso Xi Jinping si è lamentato che gli investimenti cinesi si concentrassero troppo sui campionati esteri e poco su quello nazionale.
Per questo sono stati introdotti una serie di paletti come l’obbligatorietà del calcio nelle scuole, la creazione di grandi accademie calcistiche statali, l’abbattimento delle tasse che i club devono versare all’erario, la gestione privilegiata da parte delle società calcistiche di stadi e infrastrutture limitrofe che se da una parte hanno rilanciato il calcio locale, dall’altro hanno indebolito gli investimenti esteri. “È presto per dire anche quanto possa impattare il tema del coronavirus nei piani di espansione calcistica cinese” conclude Longo “di certo quella che era una priorità, legata anche ad una nuova immagine della Cina nel mondo, rischia di essere ridimensionata anche perché ciò che devono risolvere nel breve periodo agli occhi della comunità internazionale è l’incredibile vulnerabilità del loro sistema sanitario”.