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Esoterismo e dottrina strategica in Cina. Valori rilegge Sun Tzu (e non solo)

Il prologo in cielo di questo tema avviene in Francia, nell’ultimo lampo della filosofia scientifica, profonda e integrale di quell’Europa che, anni dopo, Benedetto Croce chiamerà “civile”. Infatti, nelle more della Prima Guerra Mondiale, Henri Bergson, il brillante e potente filosofo dell’élan vital; oltre ad essere il primo grande teorico a studiare seriamente la teoria della relatività einsteniana, elabora alcuni concetti nuovi sulla guerra e la politica che sarebbe utile, oggi, rielaborare.

Da presidente del Comité France-Amerique, molto attivo durante la Prima Guerra Mondiale, Bergson ritiene che, oggi, il potere non sia più nel semplice possesso del territorio, ma nel controllo dei “punti vitali della comunicazione”, nei vari Paesi in guerra, non in guerra e nell’intero globo. Si supera, qui, la differenza, tema molto attuale, tra belligeranti e neutrali, tra paesi viable e aree non viable. La de-territorializzazione della guerra è oggi completata, visto che la Cina, come gli Usa e, molto mano, i Paesi europei, si concentrano sul Network-centric Warfare. Tra territorio e controllo non c’è un legame diretto, in ogni caso.

Da questo punto di vista, e solo in questo senso, è accaduta in Francia e negli Usa una cosa del tutto nuova, durante il primo scontro bellico globale, fenomeno nuovo che fa cessare, come diceva lo storico Arno Mayer, la lunga linea dell’Ancien Règime: oggi, all’alba del primo conflitto mondiale, proprio per la prima volta, il dominio mondiale diviene materialmente possibile. Quindi, è possibile, da questo momento in poi, lo sfruttamento delle popolazioni avversarie senza doverle deportare. Altra novità. Che Bergson non trascura affatto.

Gli Americani che entrano in guerra, nel 1917, apportano quindi, secondo il filosofo della Evoluzione Creatrice, il “supplemento di forza” che occorre per chiudere l’equazione strategica alleata: il sostegno dal Mare e dal Cielo. Ovvero, in termini attuali, la copertura di tutti i punti di controllo che permette, quando si sia arrivati a tenerne un buon numero, la chiusura delle operazioni belliche e la dichiarazione del Vincitore. Il mare atlantico, secondo una mitologia sapienziale che si manifesterà anche alla fine del Secondo Conflitto Mondiale, è quell’elemento simbolico e strategico che porta via i “miasmi terrestri” del centro d’Europa, come diceva Bergson; e ciò ricrea, altro tema attualissimo nel pensiero strategico contemporaneo, un “nuovo immaginario” dei popoli.

Non più legato al terreno da conquistare, ma alla serie di punti immateriali da controllare. Le guerre si fanno, inoltre, per ricostruire i simboli profondi o per “portare ad altri i nuovi dei”, come dice Bergson, ricordando le ossa di Teseo o il culto della Sophia caratteristico di Temistocle. I greci che colonizzano l’Italia Meridionale portano le loro divinità, prima di iniziare a sfruttare economicamente le coste, mentre le popolazioni italiche del sud fuggono in montagna, portando i loro idoli e nascondendoli nelle foreste.

Poi, nelle sue trattatistiche belliche di quegli anni, il filosofo francese delinea una differenza sostanziale tra la “forza che si usa” e quella “che non si usa”. Tema particolarmente attuale. Un concetto, questo, molto “cinese”: la forza che si usa ti mette in mostra, ti fa entrare immediatamente nei calcoli dell’avversario, diventa un probabile punto d’appoggio per la sua reazione diretta contro le tue mosse. La “Forza che non si usa”, invece, è sempre invisibile, quindi incalcolabile e, soprattutto, sempre di tipo morale, anche quando riguarda la disposizione delle forze: ciò che non si usa subito nello scontro è quello che davvero si usa, alla fine, perché è solo quello che permette, termine filosofico tipico di Bergson, la durata.

Vince chi dura un minuto in più dell’avversario, e quindi vince chi dosa sapientemente, nascondendole, le sue forze ancora inutilizzate. Tema classico, anche questo, del pensiero strategico cinese: “attraversa il mare senza che il cielo lo sappia”, il Primo Stratagemma dei 36 classici dell’arte della guerra cinese, vuol dire, in sostanza, che lo Yin, arte dell’inganno, è già tutta nello Yang, arte dell’azione. Non c’è separazione netta tra i due momenti, tra la forza che si è costretti a usare e quella che rimane coperta. Poi, “crea qualcosa dal nulla”, altro Stratagemma; e qui si tratta di creare l’illusione che qualcosa non esista o che qualcosa, invece, esista, ma è la stessa cosa. La guerra si fa soprattutto nella mente del tuo avversario, che è esattamente tutto quello “sotto il cielo” che si sta muovendo contro di te.

Chi vede solo la Forza Visibile non vede nulla. Vede solo pezzi di una scacchiera senza conoscere le regole, che sono sempre il Tao, l’invisibile che si adatta ad ogni istante, rimanendo sempre uguale proprio perché sempre si tramuta. Poi, ma potremmo continuare, “adorna l’albero con i fiori finti”, ancora un altro Stratagemma, ovvero rendi importante ciò che vale poco, e inverti così l’ordine dei valori apparenti, proprio come potrebbe fare un mago.

E, infine, ultimo Stratagemma che ci serve qui, “ferisciti per avere la fiducia del nemico”, altro criterio tradizionale che è finalizzato a lottare contro l’immagine mentale, non sole contro delle forze materiali, che il nemico crea e possiede di te, ed è proprio questo che devi realmente combattere, oltre che le forze visibili (che “si usano”, direbbe Bergson) ma soprattutto quelle che non si usano, che rimangono sempre coperte e che, quindi, muovono il visibile.

La forza morale certamente non la si vede, ma è quella che conta davvero, visto che può supplire, in qualche misura, alle altre forze; e che è quella che fa vincere davvero. D’altra parte, per Bergson la sua Evoluzione Creatrice è, propriamente, una vis a tergo. E tutti i poteri sono una forza, sempre per il filosofo ebreo francese, colui che oserà mettersi la stella gialla di David e uscire di casa, poco prima di morire, mentre le SS rastrellano Parigi a caccia di ebrei da spedire nei campi di sterminio. Ma la Forza, e lo stesso slancio vitale, sono sempre finiti e limitati, anche quella è una Forza che non dura, proprio perché non può fare a meno di mostrarsi e di essere usata.

Ma veniamo ora più analiticamente alla questione della filosofia sapienziale della guerra in Cina. Che è in azione anche oggi, nella programmazione della guerra post-moderna delle Reti e dei Nodi informatici. La filosofia sapienziale cinese, che è senza tempo, mantiene effetti scientifici e razionali che durano tuttora; e che si notano dal management alla finanza, dalle operazioni culturali e di influenza alle trattative politiche e alla diplomazia.

Se andiamo a leggere il testo di base, “La Scienza della Strategia Militare”, che riguarda il management della guerra cinese del futuro, al capitolo 11 di tale volume si legge di Tai-Kung. Il proverbiale Capo fortunato e capace della tradizione cinese degli “Stati Combattenti”. L’esempio del comandante di successo riguarda un insegnamento essenziale: è la capacità del comandante strategico, la sua sagacia, la sua lungimiranza che sono alla base del morale delle truppe e della loro coesione. Non il contrario.

Mao Zedong dice però la stessa cosa, nel suo Problemi di Strategia nella guerra di guerriglia: il comando, in una guerriglia, deve essere assolutamente centralizzato al vertice e totalmente decentralizzato nelle campagne e nelle battaglie. Il Centro è la Forza che Non si Usa, quella che non si consuma mai perché è essenzialmente spirituale. La Forza che non si usa sta al centro, quella che si usa vive ai bordi visibili del campo di forze. Da ciò deriva il criterio tradizionale di Sun Tzu: comandare tanti è esattamente come dare ordini a pochissimi, è tutto un problema di divisione delle truppe e di specializzazione. Il capo vale quanto e di più di tutte le truppe, dottrina inconsueta, ma chiarissima, in un Paese comunista come la Cina attuale.

Quindi, quando la dottrina cinese attuale parla di “guerre locali hi-tech”, la teoria post-maoista del XXI secolo riecheggia quella del Maestro Tzu. Ovvero si afferma che la vittoria cinese, e la Vittoria nel pensiero clausewitziano è un concetto vago e volontaristico, dato che si tratta, per il vincitore, di “porre il nemico sotto la propria volontà”, evidente eco kantiana del militare prussiano è, nella dottrina moderna e antica di Pechino, una “precisa applicazione della violenza”. Se si tratta di Forza che si Usa, allora tutto deve essere visibile e chiaro. Potente, immediato e concentrato in un punto. Come la Folgore, simbolo sapienziale della guerra. Ma la Volontà non si usa, e non si consuma, in un singolo atto bellico.

La tradizione di Sun Tzu è evidente ancora nella dottrina attuale cinese, dove si afferma, sempre riguardo alle hi tech wars periferiche, che “occorre attaccare i nodi per distruggere l’intera rete”. Non tutti i nodi, ma quelli che servono per bloccare definitivamente la Rete. Non occorre il “territorio”, serve la vittoria sul minimo dei punti che serve per bloccare i flussi sulla Rete. Un problema di minimax, direbbero i matematici. E’ però questo un tema che abbiamo già visto, espresso in altri termini, in Bergson. Distruzione totale, allora, che si attua tramite una distruzione sufficiente e limitata dei nodi, per proteggere la propria Forza, mentre si elimina la Forza che il nemico sta usando. In questo modo si ottengono, subito dopo, effetti politici, psicologici, organizzativi, che portano a una pressione completa e incontrollabile sulla psiche e lo spirito del nemico. Che è il vero obiettivo della guerra cinese, da Sun Tzu a oggi.

L’annichilimento, la distruzione del nemico è quindi il vero obiettivo dello scontro, quando ciò sia oggettivamente possibile, e questo vale sia per Mao Zedong che per Sun Tzu che anche per la dottrina strategica cinese contemporanea. Certo, per il Maestro Tzu la vittoria era non tanto nell’azzeramento fisico del nemico, ma nella distruzione dei suoi piani e strategie, si deve vincere non combattendo, possibilmente, nessuna battaglia. Ma il principio logico è lo stesso: se distruggo il nemico nei piani e nelle strategie, lo distruggo davvero nel nucleo della sua Forza che non Usa, e quindi lo disperdo e lo riduco ad essere privo di una qualunque identità politica e militare.

Ma anche oggi si privilegia, nella dottrina militare attuale cinese, la vittoria per stratagemmi piuttosto che quella legata a uno scontro diretto e evidente, alla Forza che si Usa. Ma, nella realtà dello scontro a rete e ipertecnologico delle guerre attuali, la questione strategica di Pechino, oggi, è quella dell’uso della “forza limitata” per raggiungere l’obiettivo tradizionalmente derivante dall’uso di una Forza completamente dispiegata. Il Vuoto per il Pieno, il Poco che diventa Tutto, la piccola Forza che diviene assoluta. Un atto di magia, sostanzialmente. Ecco perché non si discute molto, oggi, tra gli strateghi cinesi, di “guerra di massa” e di “guerra di lunga durata”, temi maoisti che, all’orizzonte delle hi-tech local wars, non sono più pensabili. Ma, in ogni caso, anche le guerre del futuro saranno, secondo il pensiero strategico attuale cinese, “guerre di popolo”.

La futura “guerra di popolo” non sarà una Lunga Marcia fuori dalle linee di resistenza più naturali e forti del nemico, ma una nuova guerra di massa, che si combatterà nelle linee strategiche periferiche, lontano dal centro dello Stato e dalla presenza fisica del Comandante. La “guerra di popolo”, oggi, è intesa come la mobilitazione totale non di tutto il popolo cinese, ma di quello che vive e opera, sia esso civile che militare, direttamente negli snodi della “guerra a rete”. Se poi le guerre tecnologiche del futuro (e del presente) costano sempre troppo, e non possono diventare guerre di lunga durata nemmeno per i grandi Paesi capitalisti e occidentali, allora il futuro sarà delle battaglie rapide e delle ancor più rapide decisioni, che talvolta saranno sostenute dall’Intelligenza Artificiale e dalle tecnologie dei Big Data. 
Quindi, qui abbiamo una sintesi tra il pensiero militare di Mao Zedong, che punta ad un uso esteso ma mirato della Forza, e il pensiero di Sun Tzu, che invece punta ad un uso della Forza minimo, rapido, specifico. I due criteri sono solo in apparenza contrari: nella guerra hi-tech si deve usare l’attacco mirato e economicamente razionale, ma tale attacco deve essere “maoista”: deve colpire durissimamente e utilizzare sempre, in un modo o nell’altro, la “guerra di popolo”. Sono sempre le masse le dirette interessate alla Vittoria. Il popolo è comunque la risorsa militare più diffusa, utile e efficace.

Non c’è però nessun mito populista, nelle dottrine di Sun Tzu come di Mao Zedong. Anche oggi, comunque, si sottolineano, nelle dottrine attuali dello Stato Maggiore cinese, alcuni criteri che sono classici, del Maestro Tzu: l’uso minimo ma potente della Forza per acquisire gli obiettivi strategici, la necessità di prevedere precisamente gli effetti dell’azione o della battaglia.

Viene sottolineata anche l’importanza dell’iniziativa, sia tattica che strategica, pur con una memoria, tipicamente maoista, sulla concentrazione delle forze, che devono essere poste in atto o in modo economico e attento e potente, ma solo in un punto, oppure possono essere anche diluite, ma sempre con un obiettivo predeterminato e chiaro, nel tempo.

Ritorna qui un simulacro di “guerra di lunga durata” maoista.

Sempre per correlare il Maestro Tzu e Mao, ma nella nuova configurazione del Network-centric warfare, possiamo notare che la “iniziativa strategica”, nei testi cinesi, è ancor oggi definita come “la libertà di azione di un attore”, ovvero, alla Bergson, si tratta della Forza che non si Usa. Il decision making militare cinese è anche definito, oggi, come la possibilità di ottenere una iniziativa strategica raggiungendo una superiorità sia nei materiali ma, soprattutto, nella psicologia, sia delle proprie truppe che di quella avversarie.

Non si tratta di “volontà propria che si impone al nemico”, come dice Von Clausewitz, ma di un modello di azione sulle menti e i cuori che diventa il vero fine della guerra, senza le imprecisioni psicologistiche della filosofia classica occidentale.

Ritorniamo qui alla Tradizione, un termine che è ben più profondo dell’occidentale “filosofia”, come ci ha insegnato Giorgio Colli, il quale riteneva che la Sapienza greca fosse stata, in gran parte, l’alba del pensiero, che poi non si riprodusse più con la stessa forza, anche nella filosofia greca classica. Dopo il fulmine di Eraclito, il lento discutere, che inizia e finisce senza portare, spesso, all’illuminazione immediata e completa.

Nel cap.6 del testo di Sun Tzu, “Vacuità e Sostanza”, si dice che, se posso concentrare le mie forze quando il nemico è frazionato, devo però farlo quando io stesso sono “senza forma”, sono cioè il Tao che si adatta, come l’acqua, alla immediata realtà del Pieno e del Vuoto.

E’ anche questa una idea che si ritrova in Mao Zedong: “l’iniziativa strategica non è niente di immaginario, ma è del tutto concreta e materiale”. Ed è sempre attiva e reale, basta solo che il Capo la raccolga e la veda nella realtà dei movimenti militari e della creazione di un grande Teatro delle Ombre, ovvero della guerra psicologica, che non è mai contorno dell’azione sul terreno, ma essenza della programmazione strategica.

E il pensiero strategico, nella tradizione e nella teoria contemporanea della guerra “senza limiti” cinese, è essenzialmente volontà politica, economica, geo-economica, finanziaria e, solo alla fine, strettamente militare.


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