Il braccio di ferro europeo sul 5G continua. Da una parte la Cina, che vuole far affidare la rete 5G alle sue aziende, a cominciare da Huawei, colosso della telefonia mobile. Dall’altra gli Stati Uniti, che vogliono evitare a tutti i costi l’appalto della banda ultralarga alle compagnie cinesi. In mezzo c’è il Vecchio Continente, che da mesi è il campo della battaglia tecnologica fra Pechino e Washington.
Due notizie giungono dal fronte hi-tech. La prima dalla Francia. Nelle prossime settimane il governo dovrà decidere se impedire o meno a due delle sue più grandi compagnie nel mondo della telefonia mobile, Sfr e Bouygues Telecom, di utilizzare equipaggiamento targato Huawei per la costruzione della loro rete 5G.
Huawei, al pari di altre aziende del Dragone come Zte, è accusata dagli Stati Uniti di spionaggio industriali e legami poco trasparenti con il Partito comunista cinese, cui, secondo la legge sull’Intelligence del 2017, se richieste, le compagnie cinesi devono fornire informazioni e dati sensibili.
Lo spettro di un bando ha già mobilitato la diplomazia dell’ex Città Proibita. Con un comunicato pubblicato domenica sera l’ambasciata cinese a Parigi si è detta “profondamente scioccata e preoccupata” dalle “misure discriminatorie” che Palazzo Matignon starebbe prendendo in considerazione.
Come anticipato in un’intervista a Les Echos da capo dell’agenzia dei Servizi francesi Annsi Guillaume Paupard, fra le misure precauzionali che il governo vorrebbe mettere in campo per proteggere la rete 5G, ci sarebbe, oltre alla totale esclusione delle aziende cinesi da zone strategiche come il sito industriale di Tolosa che ospita gli impianti di Airbus, una concessione ridotta della rete di ultima generazione per un periodo di tempo ridotto rispetto a quello standard (otto anni).
In questo momento, però, è in discussione un’esclusione tout court di Huawei&co. Al loro posto dovrebbero subentrare, con il supporto indiretto del governo, le due principali competitors di Huawei nella rete 5G, la svedese Ericsson e la finlandese Nokia. A loro l’ambasciata cinese a Parigi ha rivolto una velata minaccia. “Non vorremmo vedere lo sviluppo delle compagnie europee in Cina affetto dalla discriminazione contro Huawei e dal protezionismo in Francia e in altri Paesi europei”.
Il riferimento alle due avversarie non è casuale. Pur avendo prezzi meno competitivi di Huawei, Nokia ed Ericsson sono considerate più affidabili sotto il profilo della sicurezza dagli 007 americani e da diverse agenzie di intelligence europee. L’avanzata delle compagnie nordeuropee nel campo del 5G prosegue con l’assist del settore privato.
In Francia la compagnia leader delle telecomunicazioni Orange (ex France Telecom) ha preferito loro a Huawei per costruire la sua rete 5G, seguita dalla filiale del gruppo Iliad Free, mentre dal Regno Unito Vodafone ha fatto sapere che, a seguito delle nuove restrizioni di Downing Street alla presenza di Huawei, smonterà l’equipaggiamento cinese dalla rete core in Europa.
Il dibattito su un mercato europeo del 5G ha preso piede anche in Germania. Il caso Huawei oggi divide in due la Cdu, il partito di maggioranza di Angela Merkel che è alle prese con una crisi di identità dopo le dimissioni dell’ex presidente Annegret Kramp-Karrenbauer e l’avanzata dell’ultradestra di Afd. Un primo schieramento di deputati vicini alle posizioni americane e guidato dal presidente della Commissione Affari Esteri del Bundestag Norbert Roettgen (qui l’intervista a Formiche.net) mira appunto alla costruzione di un 5G made in Eu attraverso agevolazioni di mercato a Nokia ed Ericsson e spinge per il bando a Huawei.
Secondo indiscrezioni di Reuters però ci sarebbe un nutrito drappello di parlamentari del partito dietro un documento di quattro pagine che in queste ore circola a Berlino. “Non siamo senza difese contro il tentativo di impossessarsi del nostro 5G – recita il testo al centro delle polemiche, che cala il sipario sull’esclusione di Huawei e propone piuttosto la definizione di un “catalogo di sicurezza” da far rispettare agli operatori del settore. A dimostrazione delle opposte tifoserie che surriscaldano la Cdu, il documento si chiude con un no secco all’idea del procuratore generale Usa William Barr, che ha di recente aperto alla possibilità per il governo americano di entrare nell’azionariato di Ericsson e Nokia.