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L’economia italiana è fiacca. Il campanello di Confindustria al governo

Il 2020 dell’Italia parte con il freno a mano tirato. Non che la cosa suoni come nuova, ma forse per la politica alle prese con l’ennesimo vento di crisi, può servire a riflettere. La realtà la raccontano i numeri diffusi questa mattina dal Centro studi di Confindustria (qui l’intervista di ieri alla vicepresidente di Viale dell’Astronomia, Licia Mattioli), secondo i quali a due mesi dall’inizio dell’anno nuovo è già tempo di aspettarsi un 2020 fiacco e anemico. Certo, nessuno aveva previsto il coronavirus e il conseguente crollo del Pil cinese, ma al netto delle cause, la sostanza non cambia.

MOTORE INGOLFATO

Stenta l’economia italiana, ancora. “A inizio 2020”, scrivono i tecnici di Confindustria, “persiste una sostanziale stagnazione, che segue la flessione di fine 2019 (-0,3% stimato nel IV trimestre). Dopo il tonfo della produzione a dicembre, l’industria inizia l’anno ancora debole ma con segnali di stabilizzazione”. Insomma, se la Commissione ieri ha detto che il nostro Pil 2020 non andrà oltre lo 0,3% e oggi Confindustria certifica una partenza in sordina, allora il governo dovrà giocoforza rivedere le sue stime nel Def di aprile. Ad avvalorare questa tesi il fatto che il tradizionale polmone dell’economia italiana, l’export, è in crisi e questa ben prima che si manifestasse il coronavirus. Le vendite all’estero infatti “hanno registrato dati negativi a novembre-dicembre anche se resta su un trend espansivo: sia le vendite extra-Ue (+1,8% nel IV trimestre) sia, molto meno, quelle intra-Ue”.

FATTORE CORONAVIRUS

Confindustria poi affronta proprio il tema dell’epidemia che sta spingendo il mondo verso una nuova recessione.  “Può essere possibile una ripartenza messa a rischio dall’epidemia del coronavirus?”, si chiedono gli Industriali. “Prima del propagarsi del Covid-19 (nome tecnico del coronavirus, ndr), in base agli andamenti settoriali prevedevamo per il primo trimestre un recupero della spesa in beni di capitale. Le imprese esprimevano dunque valutazioni un po’ più favorevoli su ordini e domanda estera a inizio anno. Ora l’epidemia mette a rischio questi sviluppi”.

MESI DIFFICILI

Alla luce di tutto questo, che cosa aspettarsi per l’intero 2020? Il Centro studi diretto da Stefano Manzocchi, inizia a fare i calcoli.  “A ottobre scorso si prevedeva un contenuto aumento degli investimenti nel 2020 (+1,1%). Tuttavia, con il profilo nel 2019 rivelatosi più debole dell’atteso, il trascinamento per il 2020 è caduto a -0,6%. E le previsioni più recenti per gli investimenti nel 2020, diffuse da diversi istituti, sono più basse: da un minimo di zero a un massimo di +0,4%. Dunque, la crescita italiana quest’anno sembra aver già perso uno dei suoi possibili motori, gli investimenti”.

TRA BREXIT, CINA E USA

Impossibile non mettere nel calderone delle analisi tre fattori chiave dell’economia globale. Il Regno Unito, appena uscito dall’Ue, la Cina paralizzata dal coronavirus e, naturalmente, gli Stati Uniti. Partendo dalla prima, “nel Regno Unito la certezza di un governo stabile e l’inizio della Brexit sembrano aver ridato un po’ di slancio all’economia. Tuttavia, restano da sciogliere alcuni nodi fondamentali, soprattutto le future relazioni commerciali con la UE. Ciò spiega perché, seppure in lieve miglioramento, la fiducia dei consumatori e la Sterlina restano basse, rispetto ai livelli pre-Brexit”. Meno male che gli Stati Uniti invece tirano e crescono. “Nel IV trimestre è proseguita la crescita Usa, allo stesso ritmo del precedente (+2,1% annualizzato), seppure in rallentamento da inizio 2019. In forte calo gli investimenti privati, mai così negativi negli ultimi anni, per tre trimestri consecutivi, segnale di una possibile ulteriore frenata. Ancora positivo, invece, il contributo dei consumi delle famiglie, spinti da un solido mercato del lavoro, dove il numero di occupati a gennaio ha sorpreso di nuovo al rialzo (+225 mila unità)”.

LA GRANDE MALATA

Ma la grande malata, nel vero senso della parola, è la Cina. “Le borse cinesi”, conclude il Csc, “hanno fatto appena in tempo a brindare all’accordo nella prima fase di negoziati commerciali con gli Usa, che si sono trovate a sostenere le conseguenze del coronavirus. Domina l’incertezza sui tempi di rientro dell’emergenza sanitaria e già si sono prodotti effetti negativi reali in trasporti, turismo, consumi domestici, attività di molte imprese, spesso parte di catene del valore internazionali. Gli indicatori economici daranno presto conto di questi impatti”.

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