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Coronavirus, il pasticcio Stato-Regioni secondo l’ex ministro Sirchia

Su logistica e prevenzione l’Italia, come altri Paesi, ha fatto poco e niente. Per questa ragione viviamo giorni di caos sul coronavirus. Lo dice a Formiche.net Girolamo Sirchia, già primario di ematologia al Policlinico di Milano ai vertici e ministro della Salute dal 2001 al 2005, e nei quattro anni e mezzo alla guida del suo dicastero ha affrontato per intero l’emergenza Sars e la parte iniziale dell’influenza aviaria. Sirchia, partendo dall’analisi sulla psicosi della non conoscenza, riflette anche sulla struttura italiana, dove la Costituzione prevede livelli di potere talmente articolati e diffusi che non comanda nessuno.

Coronavirus, quanti danni può fare la psicosi da non conoscenza?

Moltissimi. Il mio ragionamento si basa sul concetto che per fare un certo mestiere bisogna conoscerne i fondamentali, a maggior ragione quando bisogna organizzare e trattare argomenti di salute pubblica. Ad esempio, se io mi mettessi a fare il falegname, sarebbe un disastro. Se lo chiedessimo ad un bambino delle elementari, risponderebbe che se qualcuno si candida a ricoprire certe posizioni allora è necessario che sappia cosa fare.

Perché l’Italia sta avendo molti più casi rispetto a Francia e Germania?

Ho sempre pensato, non solo in questi giorni, che quella che probabilmente diventerà un’epidemia è generata da un agente infettivo e contagioso che oggi noi non sappiamo curare. Per cui la prima regola è che dobbiamo prevenirlo: come raccomandato dall’Oms bisogna essere preparati a prevenire per ridurre il danno. Questa l’unica cosa da fare quando non si ha una cura e si verifica un fatto simile. Attenzione, non è un concetto nuovo, perché la storia dell’uomo è piena di tali epidemie che avvengono periodicamente dai tempi biblici. In particolare sin dagli anni della Spagnola, nel 1918, si attende che ci sia nuovamente una pandemia che colpisca l’umanità con danni sia all’uomo che all’economia. Questo il motivo per cui da trent’anni l’Oms raccomanda di essere pronti.

Lo siamo?

Il primo passo è un piano di prevenzione. Penso quindi ad una commissione di grandi esperti, non solo italiani, che si riunisca periodicamente per costruire un piano di prevenzione, chiamato risk assessment, che sia articolato su vari livelli di rischi legati alla contagiosità basata sulla curva logaritmica. Per ognuno dei gradi si appronta un piano, il risk management.

Come gestire il rischio?

Significa valutare il da farsi e allenare il personale ad operare: interventi mirati che arrivano fino alla logistica. Non ci si può trovare senza l’ipoclorito di sodio (disinfettante, ndr), questo fa ridere in un Paese che si dice civile. Ma conta anche l’esercitazione, come quando si svolgono quelle militari o in caso di incendio. Ci si allena periodicamente ad affrontare una contingenza emergenziale: significa che i cittadini vengono stimolati a ricordare e a riprepararsi. Il motivo? Perché se non si è preparati in caso di un’emergenza come questa, accade il caos a cui stiamo assistendo.

L’Italia si è preparata sufficientemente?

L’Italia, come molte altre nazioni, non ha fatto nulla su logistica e prevenzione o ha fatto molto poco. Per questa ragione ci siamo improvvisamente trovati difronte ad un problema. Non dimentichiamo che è un’azione fastidiosa e costosa, che implica anche un pensiero, sempre difficile da esprimere. Una fase che troppo spesso viene messa da parte, perché ha costi elevati e in tempi di sforbiciate si taglia sempre sulla salute pubblica che diventa una Cenerentola. E purtroppo oggi scontiamo questa difficoltà, anche perché anche il danno economico si sta facendo largo, mentre per fortuna quello di salute è piccolo. Ma non è tutto, perché conta anche la nostra curiosa organizzazione dello Stato.

Ovvero?

Andava cambiata, già ieri, l’organizzazione italiana che prevede un’articolazione in uno Stato centrale che deve suggerire alle Regioni cosa fare, in virtù di una Costituzione a mio avviso molto debole, malgrado tutte le chiacchiere che la dipingono come la più bella del mondo. Abbiamo livelli di potere talmente articolati e diffusi che non comanda nessuno. Ricordo che la salute pubblica non interviene solo per il coronavirus, ma ad esempio anche in caso di minaccia atomica. In queste condizioni di vera emergenza siamo costretti a negoziare con le Regioni.

Con quali effetti?

La salute pubblica deve essere rapida e istantanea. Aggiungo che sta accadendo una cosa alquanto strana. Mi chiedo come mai non ci sia un portavoce unico dello Stato sul caso, che sia autorevole, carismatico e credibile: in tv e sui giornali parlano in troppi. Rispetto moltissimo coloro che si stanno avvicendando affannandosi a trovare una telecamera a cui affidare le proprie ragioni, ma non ha senso, perché così l’opinione pubblica viene turbata e non sa più a chi rivolgersi. Come al solito l’organizzazione da noi è molto debole.

Come valuta l’efficacia delle misure di quarantena?

La quarantena è una delle misure di prevenzione più efficace, l’isolamento permette di impedire il contagio. Senza la quarantena ci sarebbe lo spread immediato dell’infezione, che è abbastanza contagiosa. Naturalmente in seguito i malati vanno tenuti in ospedale in un reparto dedicato e vanno curati.

twitter@FDepalo


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