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Perché il coronavirus è gestito meglio dalle democrazie che dai regimi autoritari

L’Economist qualche giorno fa aveva una Daily Chart caustica: le democrazie riescono ad affrontare meglio le crisi come quella innescata dal coronavirus SarsCov2/COVID19 rispetto ai regimi autoritari. Il grafico ripercorre la storia dal 1960 al 2020, ma quello che interesse riguarda l’attualità. Con un occhio più attento visto la grande diffusione che negli ultimi giorni ha interessato l’Italia, e con l’obiettivo a inquadrare regimi autoritari come la Cina, oppure l’Iran, e su come hanno gestito e stanno gestendo la situazione.

Il motivo secco per cui le democrazie funzionano meglio nella gestione delle crisi – viene indicata proprio la quantità di morti, non una dato relativo, ma quello più importante – è che hanno nelle interconnessioni globali una ragione di forza (ora qui l’isolazionista dirà che sono quelle interconnessioni che producono la diffusione worldwide di certe malattie, ma questo sarebbe un argomento da chiusure mentali che non val la pena affrontare qui. Ndr). Una democrazia inoltre funziona con sistemi di check&balances che garantiscono che eventuali limitazioni o speculazioni nell’esercizio della risposta vengano fuori (anche con denunce politiche pubbliche) e possano essere corrette.

Invece nessuno nel sistema-paese cinese, per esempio, è in grado di poter invertire il metodo di gestione deciso dal PolitBuro – che con ogni probabilità, almeno nelle prime fasi, non è stato certo pronto, reattivo o meglio trasparente e collaborativo. E sappiamo inoltre che nei regimi autoritari nascondere le magagne, qualsiasi esse siano e di qualsiasi entità, viene considerata una priorità. Perché i regimi si mantengono in piedi esprimendo forza e potere davanti al popolo. Qualsiasi debolezza può essere un problema per l’esistenza stessa del regime.

In questi giorni si parla molto dell’Iran, che è un altro regime autoritario caratterizzato dalle chiusure – per esempio, quando quattro mesi fa iniziano le proteste contro la leadership, la prima scelta effettuata dalla Repubblica islamica fu chiudere Internet, in modo che non si diffondessero in altre aree del paese e nel mondo le immagini di quanto stava accadendo. A oggi Teheran dice che i casi di coronavirus appurati sono una ventina, ma dati laterali e non ufficiali (quelli sono messi sotto cassaforte dai Pasdaran) danno ragione di credere che i casi possono essere molti ma molti di più. D’altronde in questi giorni c’erano le elezioni parlamentari con cui la linea conservatrice voleva cercare una vendetta contro i pragmatici al governo.

Di decessi in Iran si parla già da gennaio, ma sono informazioni che non sono verificabili, perché non c’è il dato ufficiale del governo, o meglio il dato ufficiale del governo non è attendibile. Il paese ha record di affidabilità piuttosto bassi in certe situazioni, in effetti. E invece all’interno del sistema di interconnessioni tra democrazie a essere fondamentali sono proprio quei dati. Sono i numeri il valore fondamentale che serve per stimare la velocità di propagazione, e dunque il tasso di diffusione, nonché l’aggressività, la mortalità – elemento cruciale per capire la vitalità e le quantità di guarigioni (si perdonerà il metodo poco scientifico di trattazione, ndr).

 


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