L’imperativo è: no alla psicosi. Un qualche impatto sull’economia italiana (alberghi e ristranti) ci sarà dal coronavirus, soprattutto se continueremo a trattarlo con questa ansia, dice a Formiche.net Daniele Rossi, presidente di Assoporti, che però invita alla prudenza e a valutare il fatto che le Borse stanno reagendo in modo tutto sommato controllato. Certo sarà un anno di rallentamento per la Via della Seta, sottolinea, ma non sarà un’epidemia a fermare un progetto di tali dimensioni.
Cosa rischia l’Italia da una eventuale contrazione dell’economia cinese legata al coronavirus?
Ovviamente un qualche impatto sull’economia italiana ci sarà dal coronavirus, soprattutto se continueremo a trattarlo con questa ansia. Penso ai 400mila turisti cinesi che non verranno più in Italia, penso a quella fetta legata all’economia del lusso destinato alla Cina che non avrà la stessa condizione del mercato attuale. Per cui avremo certamente alcune conseguenze, ma non in misura così devastante come si sta immaginando e prospettando. Il fatto che le Borse stiano reagendo in modo tutto sommato controllato ne è la conferma.
Avete fatto una valutazioni sulle merci?
Non dimentichiamoci che dei 7 milioni di tonnellate di merci che si muovono fra Italia e Cina, 6,4 milioni sono importate. Per quel che riguarda le importazioni non dovrebbero esserci particolari problemi, perché i porti per le attività commerciali resteranno aperti. Inoltre i protocolli di sicurezza funzionano al meglio, quindi non abbiamo avvisaglie. Ma se anche vi fossero, sarebbero legate alle importazioni: insomma, se non importeremo dalla Cina lo faremo da qualche altro paese.
E per le merci esportate?
Su di esse un impatto potrebbe esserci, ma con effetti molto minori di quelli che stiamo paventando. Certo, per alberghi e ristoranti che dovranno fare a meno di migliaia di turisti per qualche mese rappresenterà una sofferenza. Teniamo presente che secondo le stime si tratta di un fenomeno che durerà dai 4 ai 6 mesi, ma poi tutto rientrerà e anche l’economia cinese entro la fine del 2020 si riprenderà.
Come giudica la reazione cinese?
I cinesi sono certo che adotteranno una serie di misure di stimolo dell’economia interna per sopperire alle mancate esportazioni, come accentuare il settore delle costruzioni, al fine di evitare un impatto così drammatico sull’economia globale.
Un partner commerciale, la Cina, che in termini di attività container ad esempio per lo scalo del capoluogo ligure pesa per il 15-20%: c’è troppa comunicazione o siete preoccupati?
È un fatto di eccessiva comunicazione. Non vedo perché i containers destinati al porto di Genova si debbano fermare. Mi chiedo dove sia il problema. Le navi sono controllate prima di arrivare e le merci non possono essere contagiate. Il personale a bordo inoltre non può scendere a terra e lo sbarco avviene con mezzi meccanici, quindi non c’è contatto umano. C’è una psicosi che rischia di fare danni.
Porti aperti ma più controlli, dice il ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli. È sufficiente?
Meno allarmismo e porti aperti: ciò che dogane, capitanerie e autorità portuali stanno facendo attualmente.
La presenza dei cinesi di Cosco al Pireo come si intreccia con i destini anche infrastrutturali italiani?
Sarà un anno di rallentamento per la Via della Seta, ma non sarà certo un’epidemia a fermare un progetto di tali dimensioni.
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