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Coronavirus, come contrastare il diffondersi dell’epidemia. Parla il prof. Cauda (Gemelli)

Le fake news colpiscono ancora e in questo caso puntano dritto alla salute pubblica. La psicosi coronavirus (incredibile l’abbondanza di ricerche online che chiedono se ci sono correlazioni con la birra Corona) e le leggende che si stanno creando attorno alla nuova emergenza che viene dalla Cina, impongono di fare chiarezza sulle origini di questa nuova malattia. Formiche.net ha sentito in esclusiva, Roberto Cauda, professore ordinario di malattie infettive dell’Università Cattolica del S. Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs. “Si tratta di una nuova malattia sulla quale si sapeva poco o nulla fino a un mese fa – spiega il professore – le prime segnalazioni provenienti dalla Cina sulla diffusione di questa polmonite sono avvenute alla fine del 2019, tanto che il nome dato a questo virus è 2019-nCov dove “n” sta per nuovo e “cov” per coronavirus. Man mano che passa il tempo si fa sempre più chiarezza e sembra che ci sia, analogamente a quanto avvenuto per gli altri due coronavirus che colpiscono, con forme respiratorie anche gravi, l’uomo, il virus della Sars-Cov (sindrome respiratoria acuta grave) e il virus del Mers-Cov (sindrome respiratoria del Medio Oriente), un’origine animale”. I pipistrelli, i mammiferi probabili vettori del virus. “Si tratta della specie animale più implicata sia per Sars sia per Mers – continua Cauda – e sembrerebbero anche esserlo per 2019-nCov. Questa analogia può portare a ipotizzare, come è stato fatto dagli epidemiologi, che l’alterazione degli ecosistemi possa giocare a livello globale un importante ruolo. Nello specifico, per il nuovo coronavirus, un ruolo importante, almeno all’inizio, lo avrebbe giocato un mercato di animali vivi, alcuni dei quali esotici, nella città di Wuhan, epicentro dell’epidemia, che ha probabilmente contribuito al passaggio dall’animale all’uomo per poi diffondersi attraverso la trasmissione interumana”.

Quando è avvenuto il passaggio del virus dalla specie animale a quella umana e pensa ci sia una buona cooperazione internazionale per scongiurare la diffusione sempre più rapida di questo virus a livello globale? 

Studi di filogenetica, da prendere con una certa cautela, indicherebbero che una modifica del virus possa essere avvenuta, verosimilmente nei pipistrelli nel novembre 2019, un po’ prima che si manifestassero i casi umani.  In un tempo molto breve agli inizi di gennaio, i ricercatori cinesi sono stati in grado di condividere con la comunità scientifica internazionale il genoma di questo virus, un’informazione molto importante che ha consentito l’allestimento di test diagnostici. Infatti, l’isolamento del virus, effettuata anche in Italia dall’Inmi L. Spallanzani, è essenziale per sviluppare una corretta diagnostica di laboratorio.

Al tempo stesso è da segnalare un importante risultato epidemiologico, realizzato grazie alla collaborazione delle autorità sanitarie cinesi in loco, dell’Organizzazione mondiale della sanità, di altri organismi internazionali e dell’Università americana, Johns Hopkins, che ha consentito e consente in tempo reale di valutare il numero dei casi di contagio, il numero dei decessi, il numero dei casi guariti e di monitorare le aree nelle quali questo virus si diffonde: per il momento oltre la Cina, l’Europa, gli Stati Uniti e alcuni Paesi asiatici.

Come si trasmette il virus 2019-nCov e quali sono le differenze e le caratteristiche comuni con gli altri virus appartenenti alla famiglia dei coronavirus? 

Il quadro clinico di questa malattia è simile a quello della Sars tanto che inizialmente alcuni pensavano ad una riattivazione di Sars. Si tratta di una affezione respiratoria che colpisce le vie aeree con sintomi di raffreddore, spossatezza, mal di gola e tosse che testimonia un interessamento a livello polmonare, in alcuni casi più gravi tale da provocare insufficienza respiratoria a cui si associa insufficienza renale. Inoltre, questa malattia assomiglia, da un punto di vista sintomatologico, all’influenza.

Se oggi guardiamo alcuni numeri, nella loro freddezza, essi ci trasmettono alcune informazioni utili. Innanzitutto ci dicono che andando a percentualizzare il numero dei decessi con il numero dei casi segnalati, la letalità oscilla dal 2 al 2,5% che è più alta rispetto all’influenza ma molto meno rispetto alla Sars, che aveva una letalità del 10%. Per quanto riguarda l’indice di trasmissione, di 2019-nCov questo oscilla attorno all’ 1,5 – 2,5%, nel senso che una persona colpita può infettare 2 persone.

Questo virus si trasmette per via aerea, attraverso un contatto stretto (a meno di un metro) con una persona contagiata, attraverso goccioline di saliva o escreato emesse tramite colpi di tosse o starnuti.

L’utilizzo della mascherina può essere una misura di prevenzione utile?

La mascherina non è tanto utile per la prevenzione ma per limitare la diffusione da parte di coloro che sono stati contagiati. A detta anche di organismi internazionali, dell’Organizzazione mondiale della sanità e del nostro ministero della Salute, la mascherina è utile quando viene utilizzata da parte di chi ha sintomi respiratori, proprio per impedire che il contagio verso altri possa diffondersi, mentre il ruolo che ha nei contatti casuali è assolutamente minimo per non dire inutile. Altra cosa è ovviamente l’uso di speciali mascherine o sovracamici per gli operatori sanitari.

L’Organizzazione mondiale della sanità, proprio per limitare la trasmissione ha dettato alcune semplici indicazioni di igiene normale che valgono per il nuovo coronavirus come per altri patogeni: il lavaggio delle mani, la scrupolosa osservanza delle norme igieniche quando ci si soffia il naso o si starnutisce, l’utilizzo di fazzoletti monouso.

Aggiungerei che tra le misure che possono rappresentare oggi un valido supporto anche al di fuori delle aree epidemiche c’è la vaccinazione antinfluenzale, chiarendo che tale vaccinazione non funziona su questo tipo di virus ma aiuta a fare chiarezza, in quanto si possono ridurre i casi di falso allarme visto i sintomi simili tra le due malattie.

Cosa fare nei soggetti nei quali la malattia è conclamata?

È importante innanzitutto il ricovero in ospedale fornendo tutto il supporto terapeutico che il caso richiede. È altresì importante identificare i contatti per porli in osservazione clinica e impedire l’ulteriore diffusione del virus. La diagnosi microbiologica deve essere rigorosa. Qualche giorno fa è apparsa sul New England Journal of Medicine la descrizione di casi verificatisi in Germania. In alcuni di essi, la durata dei sintomi è stata di soli 3 giorni anche se alcune delle persone contagiate emettevano il virus con le secrezioni più a lungo.  Dunque, la segnalazione è stata molto utile per distinguere tra la riduzione dei sintomi e l’effettiva guarigione microbiologica la sola che indica la non capacità di trasmettere il virus.

Quali sono i punti di forza della ricerca italiana, in un momento in cui la sostenibilità fa fatica a essere mantenuta?

Ci sono 3 aspetti della ricerca da tenere in considerazione: la ricerca di base, la ricerca clinica e di gestione dei pazienti. Per quello che attiene la ricerca clinica, che è strettamente correlata alla gestione dei pazienti, l’Italia ha un servizio sanitario di primissimo ordine. Ha un numero di Divisioni di malattie infettive disposte sul territorio nazionale che sono delle sentinelle importanti perché non dimentichiamo che ci può essere statisticamente una maggiore affluenza nelle grandi città però ci sono anche i piccoli centri da gestire. E su questa lunga Italia sorvegliano, dislocate, le varie Divisioni alle quali dovrebbe andare la riconoscenza di tutti per il grande lavoro di squadra che fanno ogni giorno.

Si può parlare di epidemia in Italia?

No. Bisogna chiarire che oggi non c’è una epidemia del nuovo coronavirus. Ci sono stati solo due casi importati. Per la Sars i casi erano stati 4 e per l’Ebola 2, anch’essi tutti d’importazione.

Questo problema non deve però essere sottovalutato pensando che si tratti di un evento confinato alla Cina e ai Paesi limitrofi. Oggi in un mondo globalizzato, molto più globalizzato di quanto lo fosse nel 2002-2003, anche per i maggiori scambi con la Cina e altri Paesi, è evidente che dobbiamo affrontare il problema in modo adeguato. Per questo motivo ritengo che le misure messe in atto dall’Italia siano in linea con quella che è la realtà epidemiologica attuale al fine di impedire la diffusione del virus.

Come combatterebbe la battaglia contro il virus 2019- nCov? Pensa che l’utilizzo di molecole già in commercio, magari in combinazione, possano portare a guarigione? E studi per trovare un vaccino richiederebbero troppo tempo? 

Per quanto riguarda l’utilizzo di farmaci antivirali in commercio, c’è stata una segnalazione che viene dalla Thailandia. Tre molecole, una per il trattamento dell’influenza e due per il trattamento dell’Hiv, in una paziente di 71 anni affetta dal nuovo coronavirus, hanno funzionato accelerando la guarigione clinica e microbiologica. Su un singolo caso non si possono però fare considerazioni statistiche anche se è interessante che la ricerca scientifica si sia indirizzata, in questo momento di emergenza sanitaria, a verificare se le molecole antivirali già disponibili magari in combinazione tra di loro hanno un qualche effetto su questo nuovo coronavirus.

Il vaccino rappresenta sì una sfida ma non per vincere la battaglia in Cina. Il vaccino ha tempi lunghi, anche superiori ad un anno, non tanto per il suo allestimento che potrebbe richiedere qualche mese ma per provare la sua completa innocuità ed efficacia prima di renderlo disponibile alla popolazione generale. Al momento, in assenza di una terapia efficace e di un vaccino le misure di contenimento con l’identificazione dei malati e dei contatti rappresenta la modalità principale e più efficace per contrastare il diffondersi di questa epidemia.

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