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Il dibattito sul coronavirus, tra opposte tribù e governo debole. L’analisi di Curini

La politica, in Italia e non solo, vive una nuova stagione da qualche tempo. Interagiamo (e oramai i dati sulla cosa sono ampi) sempre meno in un mondo caratterizzato da polarizzazione ideologica, ovvero da una contrasto tra opposte visioni programmatiche su cosa si vorrebbe che lo Stato facesse in questo o in quell’altro campo, come avveniva ad esempio negli anni 70 dalle nostre parti, e invece sempre più in una realtà dove ciò che conta è una polarizzazione emotiva. In cui a contrapporsi sono tribù faziose, tifoserie di squadre che si odiano visceralmente. In cui il compromesso non è ammesso. Anzi, è una pratica proibitissima e costosissima per il politico chi si azzarda a farla. In cui non conta neanche più vincere. Conta solo che la squadra opposta perda.

Il dibattito di queste settimane sul coronavirus ne è un esempio lampante. I governatori del nord Italia (tutti del centro-destra) chiedono la quarantena (ma solo dei cinesi, e chissà perchè non per chi viaggia da e per la Cina per altre ragioni)? Non si può fare! Anzi, è un inutile allarmismo. Burioni (coccolato dalla sinistra fino all’altro giorno) testardamente chiede lo stesso? Allora diventa un pericoloso fascioleghista. Il paziente numero zero sembra essere un imprenditore padano? Ben gli stà! Salvo poi scoprire che non è stato lui. E allora a mettersi in moto è la tribù opposta. E così via. Senza fine.

In tutto questo un governo senza forte mandato popolare, anzi, nato proprio sul collante di non volerlo questo mandato (tutto, tranne elezioni a breve!), è chiamato ora a prendere decisioni politiche importanti e politicamente costose. Decisioni che proprio per questo sarebbe bene che provenissero da un governo che goda di una forte fiducia, non da uno (dicono i dati) che ha un livello di fiducia assai basso, e che passa in 24 ore dalla parola d’ordine “il contagio è improbabile” a “scuole, università, stadi e cinema chiusi”, lasciando tutti tra il basito e il confuso.

Non ci resta ora che sperare in quello che è stato il grande demone fino a ieri, ovvero il global warming. Che arrivi presto la primavera e il caldo, dunque, così da dimenticarci il tutto. Almeno fino al prossimo autunno, naturalmente. Sarà interessante capire invece se a dimenticarselo saranno anche gli italiani, o se tutto questo avrà un impatto, politico ed elettorale, non banale.


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