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Intanto il coronavirus colpisce il turismo. L’allarme di Fipe-Confcommercio

Il coronavirus potrebbe costare caro al settore della ristorazione. Una perdita di fatturato intorno ai 3,5 milioni al giorno e un colpo duro ad una realtà, gli esercizi da cittadini cinesi e il turismo proveniente dalla Cina, che si è ormai guadagnata uno spazio importante.

L’ufficio studi Fipe–Confcommercio stima che l’allarme suscitato dalle notizie sulla diffusione del virus stia mettendo in grande difficoltà la ristorazione. Nei circa 5.000 ristoranti cinesi si registra una perdita di fatturato del 70% che tradotta in valori assoluti significa due milioni di euro al giorno. Se a questo aggiungiamo i 500 mila euro che i turisti cinesi in Italia spendono ogni giorno per mangiare la perdita complessiva della ristorazione è di 2,5 milioni di euro.

Ma c’è dell’altro spiega il vice direttore generale di Fipe e direttore dell’Ufficio Studi Luciano Sbraga. “Non abbiamo ancora fatto stime ma bisogna considerare i tanti bar che negli ultimi anni sono stati presi in gestione da cittadini cinesi. Sono perdite potenziali per circa un milione di euro al giorno”. Poi il turismo. “Dai dati di consuntivo emerge che le presenze turistiche cinesi in Italia sono circa 5,3 milioni. Spalmate sull’anno è come avere 15 mila residenti” e una capacità di spesa di 2,5 milioni di euro al giorno, 500 mila solo in ristorazione”. C’è poi il settore del delivery, che riguardano principalmente cibo etnico. L’impatto del virus sulle consegne non è ancora stato valutato.

Fatturato andato in fumo per psicosi. “Sarebbe una forzatura dire che queste perdite continueranno anche per i mesi a venire. Ma se la strada deve essere quella di chiudere gli aeroporti e se il picco dell’epidemia dovesse veramente verificarsi nei prossimi 15 giorni, possiamo già ragionare su perdite complessive per la sola ristorazione intorno ai 3,5 milioni al giorno”.

Il venire meno del turismo colpisce tutti, ma anche il colpo alla ristorazione etnica e cinese da parte di cittadini italiani, danneggia “aziende che soprattutto in alcune aree sono parte del nostro sistema”. La comunità cinese occupata nel commercio è integrata nell’associazionismo?

“Dipende dalle aree”, spiega Sbraga. “La comunità milanese è molto ben integrata. In parte fa riferimento al nostro mondo e sono molto attivi nel partecipare ai progetti e alla formazione. Facciamo una newsletter e un giornalino in italiano e cinese per raggiungere tutti. A Roma stiamo tentando ora di avviare un dialogo con la ristorazione con l’obiettivo di avviare una collaborazione per migliorare la conoscenza delle norme e delle procedure. Ma al momento è un rapporto meno strutturato rispetto a Milano”.

La strada per uscirne è da un lato quella dell’informazione sulle modalità del contagio e sui rischi reali. Dall’altro quella di integrare il mondo della ristorazione etnica nell’associazionismo. I ristoranti gestiti da stranieri in Italia sono l’11% del totale, circa 15/16 mila aziende.

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