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Quel filo rosso fra coronavirus, Xi e Huawei. Parla Charles Kupchan

In un primo momento erano voci di corridoio, poi sono uscite dal palazzo, e si sono moltiplicate sui social network sfuggiti alla censura. L’emergenza coronavirus ora fa paura anche alla Città Proibita, e al suo più autorevole inquilino, il presidente cinese Xi Jinping, che alla gestione della pandemia ha indissolubilmente legato la sua leadership politica. Parola di Charles Kupchan, senior fellow del Council on Foreign Relations, tra i massimi politologi americani esperti di Cina, con un lungo trascorso al National Security Council. In un’intervista a Formiche.net, il professore spiega perché le ambizioni globali del Dragone, compresa la corsa al tech 5G di Huawei, sono appese a un filo sottile. Che oggi passa anche dall’Italia.

Kupchan, l’Italia è diventata l’epicentro europeo del virus. Bloccare la tratta aerea con la Cina rischiando una rottura diplomatica è stato un errore?

Non penso sia stato un errore, tutt’altro. Parliamo di un virus estremamente pericoloso, temo che in molti non lo abbiano compreso fino in fondo. L’Italia in questo momento sta sperimentando il picco peggiore dell’epidemia, e il governo ha tutte le ragioni per assumere decisioni decise e se necessario anche drastiche. Non sarebbe il primo.

Cioè?

Gli Stati Uniti hanno sospeso buona parte del commercio via mare e hanno tenuto in quarantena per quaranta giorni i loro connazionali tornati dalle zone cinesi colpite. Misure del genere sono ormai all’ordine del giorno in dozzine di Paesi occidentali e non solo. Il più grande rischio è che il virus sfugga dal controllo.

Cosa attende la Cina? L’ex Celeste Impero può dire addio alle ambizioni da superpotenza?

È troppo presto per dirlo. Non credo ci sia una risposta migliore. E questo perché non abbiamo idea di quanto durerà il virus, né fino a che punto continuerà a disintegrare la crescita cinese e del commercio globale. Se il virus viene contenuto con successo, allora questa rimarrà una parentesi episodica nell’ascesa globale cinese. Se, diciamo, il coronavirus seguirà una parabola simile a quella della Sars, allora non ci saranno gravi effetti di lungo periodo e la Cina tornerà dov’era due mesi fa.

In caso contrario?

Se invece l’epidemia dovesse durare nel tempo ed espandersi, non è da escludere un impatto a valanga sulla stessa leadership della Città Proibita.

Anche sul presidente-a-vita?

Il presidente Xi Jinping ha in mano il suo destino. Già prima che l’emergenza sanitaria scoppiasse a Pechino un orecchio attento poteva origliare domande, voci, bisbigli insistenti sulla qualità della sua leadership. Il contenimento del virus e il ritorno dell’economia cinese ai livelli pre-Wuhan aiuterebbero a metterle a tacere.

Voci dal palazzo o dalla piazza?

Inizialmente si è trattato di voci di corridoio, sussurri interni all’élite politica cinese. Poi sono cresciuti e si sono fatti più rumorosi, fino a giungere alle orecchie del grande pubblico, innescando il chiacchiericcio sui social network, o almeno quelli che sono sfuggiti alla censura.

Che effetti avrà la pandemia sulla guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina?

Credo che per un po’ il virus congelerà la maggior parte delle tensioni commerciali esistenti fra Washington e Pechino. La de-escalation è già iniziata da un po’. Il virus ha avuto un ruolo, ma non è l’unico fattore. C’è anche il fattore Trump.

A cosa si riferisce?

Alla campagna per la rielezione che è ormai entrata nel vivo. Trump deve avere dalla sua qualche carta vincente, la Cina è una di queste. Deve poter dire: “Sono un formidabile negoziatore, e infatti i cinesi hanno iniziato a regolamentare i loro mercati e a comprare la nostra soia”. Una volta rieletto, assisteremo a una nuova escalation commerciale.

Sullo sfondo rimane la corsa all’egemonia tecnologica. Chi sta vincendo il braccio di ferro sul 5G?

Nessuno dei due. Gli Stati Uniti hanno aumentato senza sosta le pressioni sui loro alleati, avvisandoli in tutti i modi di stare lontani da Huawei e dalla sua infrastruttura 5G. Finora non hanno riscosso un grande successo, soprattutto in Europa. La Conferenza sulla Sicurezza di Monaco ha dissipato ogni dubbio: le due parti non hanno intenzione di fare un passo una verso l’altra.

A Washington sono allo studio soluzioni alternative a Huawei. Vedranno la luce?

I tempi sono lunghi, forse troppo lunghi. Credo che molte di queste proposte nascano da una semplice constatazione: le pressioni finora esercitate sugli alleati non hanno sortito effetti. Ora gli Stati Uniti cercheranno un’alternativa che metta intorno a un tavolo le principali economie di mercato al mondo. Non sarà facile, perché in molti temono ripercussioni. I tedeschi ad esempio sono preoccupati, perché una volta esclusa Huawei dal 5G, la Cina potrebbe vendicarsi contro il settore tech o l’automotive. Lo scontro con Huawei è politica allo stato puro.

 

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