Skip to main content

Che cosa potrebbe ostacolare la scommessa di Di Maio. Le previsioni di Panarari

“L’elettorato ha bisogno di essere chiamato, di essere attivato e mobilitato. Dal Vaffa Day fino a poco tempo fa ha rappresentato una sorta di fil rouge che ha attraversato il Movimento 5 Stelle. C’è però anche quella funzione essenziale delle piazze rispetto ad un governo, cioè tenerlo sotto pressione. Il punto è che, come sappiamo benissimo, Di Maio e M5S sono al governo”. La piazza è tornata ad essere al centro del dibattito e della comunicazione politica, spiega Massimiliano Panarari in una conversazione con Formiche.net che parte dall’invocazione della piazza da parte del Movimento 5 Stelle ma arriva a toccare le tensioni evidenti tra le forze della maggioranza. Il professore della Luss Guido Carli, esperto di comunicazione politica e attento osservatore delle dinamiche italiane intravede nella crisi del Movimento una delle cause di queste tensioni. Finché non si cercherà un obiettivo comune nel governo, sarà difficile che gli scontri finiscano.

Professore, c’è una guerra delle piazze in corso? Prima (ma ancora) Salvini, poi le Sardine, ora i 5 Stelle. È una gara a chi ha la piazza più grande?

La piazza, ma non è una novità, è ritornata al centro del dibattito e soprattutto della comunicazione politica perché è il termometro più plastico e anche più visibile per dimostrare che esiste un consenso di persone in carne ed ossa, insomma, per misurare la capacità di mobilitare persone. È una restituzione visiva e molto concreta del consenso. Ora, a partire dalla competizione tra Salvini e le Sardine questo tema è ritornato molto fortemente quindi trattandosi di un item molto importante nella narrazione politica si può dire che c’è una competizione.

Su queste premesse, la piazza invocata dai 5 Stelle – e da Di Maio – che scopo ha?

Serve, da un lato a cercare di risintonizzarsi col proprio elettorato di riferimento, verificando quanto di questo non è fuoriuscito andando verso la Lega, o rifluito nell’astensionismo o andato in piccola parte verso sinistra, insomma per capire quanto c’è, quanto è presente, quanto numericamente esiste. Al tempo stesso, però, è davvero un richiamo della foresta.

Cosa intende?

Intendo che quell’elettorato ha bisogno di essere chiamato, di essere attivato e mobilitato. Dal Vaffa Day fino a poco fa ha rappresentato una sorta di fil rouge che ha attraversato M5S. Dall’altro c’è quella funzione essenziale delle piazze rispetto ad un governo, cioè tenerlo sotto pressione. Il punto è che, come sappiamo benissimo, Di Maio e il Movimento 5 Stelle sono al governo, e quindi entriamo in uno dei tanti paradossi post-moderni di questi tempi, ancora più visibili data la crisi fortissima che vive il Movimento 5 Stelle.

Zingaretti non ha gradito la scelta, mentre Conte ha sottolineato che quella sui vitalizzi “è una battaglia politica che il movimento ha sempre fatto”. Un modo per rassicurare i 5 Stelle intimoriti dal risultato dell’Emilia?

Si può dire che ciascuno degli attori evocati sta facendo quello che si poteva prevedere. Il problema è che i 5 Stelle hanno paura della pressione del Partito democratico nella ridefinizione del programma, dell’agenda e degli obiettivi di governo che sarebbe in realtà indispensabile, perché è evidente che siamo di fronte ancora una volta – e di nuovo la responsabilità è del Movimento 5 Stelle che continua a non dichiararsi di destra o di sinistra, continuando nella sua terzietà – alla giustapposizione di programmi che non trovano una coerenza. Un esecutivo non può avere uno slancio vitale, una sua forza se non trova delle misure che sono ovviamente di mediazione, ma che diano anche l’idea di un’azione unitaria, di una unità di intenti. Lo vediamo anche a proposito della prescrizione.

Qui il ruolo di Conte…

Conte cerca di rassicurare il Movimento 5 Stelle e di ribadire la sua posizione basata su geometrie variabili, in cui oltre a rassicurare cerca di essere anche punto di riferimento di un’ala dei 5 Stelle, quella avversa a Di Maio.

Invece le parole di Zingaretti?

Zingaretti fa una constatazione molto logica, chiara, quella che dovrebbe essere una regola elementare della politica, ossia che non si protesta contro un governo di cui si fa parte. Naturalmente non è una novità in Italia, ma in questo caso è particolarmente rilevante perché il Movimento 5 Stelle sta vivendo una fibrillazione fortissima e ha una tensione interna enorme per cui non c’è un unico Movimento ma ci sono correnti che fanno pensare che il partito sia sempre più a un passo dalla deflagrazione.

All’orizzonte, su tutte le incertezze dell’esecutivo, ci sono gli Stati Generali di M5S. Saranno il punto di svolta o di ritorno (a Di Maio)?

La sensazione è quella di bocce in forte movimento. Il fatto che non sia stata ancora fissata la data degli Stati Generali dopo che il tema era stato presentato come l’occasione per strutturare in chiave organizzativa il Movimento 5 dice qualcosa sui problemi che sta vivendo.

In che modo?

Il rinvio significa che la situazione di tensione interna è molto molto forte, probabilmente c’è un rischio concreto di scissione. Dall’altro c’è che quello che succederà è legato a degli spostamenti di equilibri molto delicati. Potrebbe succedere, logica vorrebbe in un partito normale, che a prevalere fosse la corrente maggioritaria. In questo caso, però, dato che le ragioni unificanti di M5S sono sempre state molto labili e molto esterne – penso a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio – che qualunque momento di divisione rischi di produrre la deflagrazione e la fuoriuscita del Movimento, non essendoci più in maniera chiara questi fattori unificanti o un dibattito interno legittimo,. Gli scenari, allora, sono tutti aperti, e qui si inserisce la scommessa di Di Maio.

Tornare a guidare il Movimento?

L’idea che il caos superi talmente tanto la soglia di tollerabilità da indurli a richiamarlo come unica soluzione possibile.

A esasperare il clima governativo arriva anche la rottura di Italia Viva sulla questione prescrizione. Non è che a questo giro la corda del governo davvero rischia di spezzarsi?

Renzi non ha interesse ad andare alle elezioni, ha una serie di obiettivi variabili. Il tema è il dosaggio della forza per conseguirli, ossia fino a che punto può spingersi.

Qual è il suo scopo, allora?

Sicuramente ha interesse alla guerra di movimento per essere visibile, per entrare nella narrazione mediatica e cercare di individuare e di farsi collettore di consensi trasversale tra tutti coloro che nel centrosinistra, ma anche nel centrodestra, trovano le posizioni dei 5 Stelle illiberali e non accettabili, soprattutto in tema di giustizia. C’è, però, anche la possibilità da non escludere, dati i rapporti non idilliaci tra Conte e Renzi, che quest’ultimo punti a un cambio di presidenza del Consiglio e ad una riformulazione di governo. Ma c’è un ma.

Quale?

La volontà che il Quirinale ha fatto trapelare più volte di non accettare un ulteriore governo all’interno di questa legislatura.


×

Iscriviti alla newsletter