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L’Egitto, Giulio e Patrick. Cosa potrebbe fare l’Italia secondo Giannuli

La vicenda del giovane ricercatore Patrick Zaky si presta a considerazioni non secondarie sullo stato del nostro Paese sulla scena internazionale, sul problema dei rapporti con regimi autoritari, estranei alla civiltà giuridica, corrottissimi e che non rispettano i più elementari diritti umani. Tutto ciò ci obbliga a fare un passo indietro e parlare del caso Regeni.

Come si ricorderà, il corpo di Giulio Regeni venne ritrovato il 3 febbraio 2017 senza vita, con evidenti segni di torture e nelle vicinanze di una prigione dei servizi di polizia egiziani. Tutto un caso? Considerando che all’indomani avrebbe dovuto esserci un importante fra egiziani ed italiani a proposito del grande giacimento di Zhor e che, ovviamente, la delegazione italiana, alla notizia del ritrovamento, dovette abbandonare quell’incontro e rientrare in patria, risulta piuttosto difficile pensare ad una casualità. Considerato che in Egitto ci sono oltre 300 casi all’anno di desaparecidos, probabilmente sepolti nel deserto e senza che se ne sappia più nulla, se il corpo è stato trovato, in quelle condizioni e a due passi da una sede di polizia, è perché qualcuno voleva farlo trovare, quindi, lo scopo era quello di provocare un incidente diplomatico con l’Italia, sabotando l’accordo economico. E tutt’altro che irrealistico pensare che una frazione del governo egiziano in lotta con le altre e magari motivata da generose sovvenzioni anglo francesi, abbia architettato la cosa. Quello che, comunque, deve essere tenuto segreto anche dalla frazione opposta, colpita dalla manovra, perché comunque la cosa avrebbe effetti troppo destabilizzanti.

Il governo egiziano prima avanzava spiegazioni totalmente implausibili, dopo ha messo in opera diversi depistaggi, infine, capito che il governo italiano non faceva sul serio e si limitava a qualche sceneggiata diplomatica, si è fatto beffe del governo italiano menando il can per l’aia.
Infatti, l’Italia, di fronte al caso ed ai ripetuti depistaggi del governo egiziano non ha messo in opera nessuna reale pressione politica per ottenere risposte serie. Unica reazione un tardivo richiamo dell’ambasciatore al Cairo che, peraltro, dopo un breve periodo, è stato rimandato al suo posto.

D’altro canto, con ministri come Alfano, Gentiloni, Moavero e, adesso, Di Maio, non cera da attendersi niente di più. Il governo trema al pensiero che l’Eni possa restare esclusa dallo sfruttamento di Zhor, per cui tiene il profilo più basso possibile ma non ha capito che è proprio questo atteggiamento debole che mette le premesse perché ciò accada. Con un governo come quello egiziano, l’unico linguaggio efficace è quello della forza, senza farsi troppi scrupoli. Gli interessi nazionali sulla questione di Zhor saranno protetti efficacemente solo se i criminali del Cairo capiranno che eventuali colpi bassi troverebbero una risposta molto dura dell’Italia e sul piano della forza.
E, infatti, le fragilità diplomatiche della Farnesina, hanno avuto come conseguenza che al caso Regeni sia seguito il caso Zaky trattato allo stesso modo sbattendosene delle reazioni internazionali.

Anche se Zaky non è cittadini italiano, occorre pretenderne l’immediato rilascio e chiedere esaurienti spiegazioni sul perché il suo arresto sia stato motivato con i suoi pretesi rapporti con i coniugi Regeni (che sono cittadini italiani) e mettere termini brevi ed ultimativi prima delle reazioni.

Ma cosa potrebbe fare il governo italiano? Molte cose:

– Richiamare immediatamente l’ambasciatore italiano al Cairo
– Invitare tutti gli italiani lì presenti a rimpatriare immediatamente, dato il rischio di rappresaglie
– Inserire l’Egitto nella black list dei paesi pericolosi, in cui è sconsigliato o proibito ai propri cittadini recarsi, sia per turismo che altro
– Porre la questione in sede Ue chiedendo una azione congiunta dell’Unione, ad esempio, proporre all’Unione ed a tutti i suoi paesi di inserire l’Egitto nella summenzionata blacklist
– Porre la questione della sistematica violazione dei diritti umani in Egitto in tutte le sedi internazionali, a cominciare dall’Onu, chiedendo sanzioni commerciali
– Sostenere con l’azione diplomatica e di intelligence l’opposizione al regime e favorirne con ogni mezzo la destabilizzazione, anche fornendo denaro ed armi tanto all’opposizione democratica quanto ai Fratelli Musulmani
– Non escludere neppure reazioni militari, ad esempio colpendo il generale Haftar, che, per conto dell’Egitto sta occupando illegalmente una parte della Libia ed ha attaccato Tripoli.

Mi redo conto che sono misure fuori dal pensiero di questa compagine che ha occupato ed occupa Palazzo Chigi e la Farnesina da anni. Ma è bene convincerci che questo non è tempo di pacifismi.

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