Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Come fare per ripetere l’effetto Emilia? La ricetta di Mario Giro

emilia

Il Pd cerca il “partito nuovo”. L’M5S insegue il rilancio. ItaliaViva, Azione e +Europa provano ad unirsi (almeno sui territori in vista delle regionali). A sinistra del Pd si tenta un’operazione “coraggiosa”. Le Sardine si organizzano. Tutta la sinistra e il centrosinistra è in movimento (anche se per alcuni i pentastellati non ne dovrebbero far parte). Siamo abituati a tali manovre tanto da non curarcene troppo o da prenderle come tattiche elettoralistiche o di ceto politico. Non sempre è così.

Il momento politico infatti è cruciale e la domanda unica: come fare per ripetere l’effetto Emilia? Cioè per generalizzare quel mix di politica strutturata e pathos di piazza che ha portato alla vittoria sulla destra? Perché di questo c’è bisogno, vecchio e nuovo assieme: da una parte non buttar via ciò che esiste e dall’altra aggiungere un “sentiment” che si opponga alla narrazione di destra.

Quest’ultima ormai ha testato il suo storytelling divenuto molto popolare tra le persone: convincere gli italiani che sono in pericolo creando una sindrome da paura; accusare di volta in volta qualcuno o qualcosa (Ue, immigrati, francesi, cinesi ecc.); dileggiare i valori della Repubblica tacciandoli di impotenza (Costituzione, regole, antifascismo, solidarismo ecc.); offrire risposte securitarie a tutte le questioni sul tappeto. C’è però un bug, un difetto in tale racconto: tutto immancabilmente si riduce all’autodifesa, al fai da te. Anche quando invoca il “popolo” la destra ti lascia solo a difenderti anzi ti invita a farlo, del tipo ”chi fa da sé fa per tre”.

Lo stesso Matteo Salvini dice di non aver risposte a tutto (e in questo appare sincero ai più…) e incita all’autodifesa, al ripiegamento, all’autosufficienza, all’autonomia, all’autogestione. Restano dunque tanti IO che si lamentano e si arrabbiano con altri IO. Alla fine delle fini la destra indica la strada della soluzione solitaria dell’IO. Inducendo diffidenza verso ogni istituzione (nazionale, europea o multilaterale) e verso ogni forma collettiva nel sociale, ti lascia solo come individuo, come aggregazione e anche come popolo. In una parola sola: la destra invita (una persona, una famiglia, una categoria, un popolo ecc.) a vivere per se stesso e solo con se stesso.

Al contrario la sinistra e il centrosinistra dovrebbero parlare di “protezione” al posto di “sicurezza”, costruendo una nuova narrazione e un nuovo pathos attorno all’idea di tutto ciò che è comune. La vera difesa viene dal mettersi insieme, dal costruire nuovo tessuto comune, dal ritessere la tela comunitaria della società. Protegge davvero solo ciò che è largo, comune, collettivo e aperto. In breve dovremmo parlare del vivere con gli altri.

In tale sforzo servono i partiti, anche se non stanno simpatici alla maggioranza degli italiani. Il partito è una forma di comunità che non va dispersa. Certo si deve sempre rinnovare per non apparire soltanto una “casta” che protegge “poltrone”, come si usa dire. Ma serve. Così come servono tutte le forme aggregative nel sociale, da quelle più antiche come i sindacati a quelle più innovative come i meet-up. In fondo le Sardine sono state degli innovativi meet-up convocati a difesa dei valori antichi della Costituzione. Un mix di vecchio e nuovo.

Ogni forma aggregativa del sociale dovrebbe reagire allo stesso modo: uscire da sé e aprirsi coraggiosamente con fiducia verso l’esterno, verso gli altri. È difficile farlo in questo clima di paura e introversione generale, che contagia tutto l’Occidente: nel farlo sembra di tradire gli altri che si sentono in pericolo, sembra un modo di passare al nemico. Ma non è così. Un’Italia piccola e introversa è più debole nel mondo. Un’Italia più aperta e coraggiosa diviene più forte.

Questo vale anche per i cattolici presi dalla medesima lacerazione: meglio ripiegarsi in difesa dei propri valori o aprirsi alla società pluralista e caotica con solidarietà? La rete cattolica è l’unica rimasta in forma unitaria nel nostro Paese: parrocchie, associazioni, comunità, istituti religiosi, santuari ecc. Tale unità è preziosa. Ma credere di preservarla mettendosi in posizione di difesa è illusorio. La stessa storia della chiesa è piena di esempi di questo tipo: san Francesco sembrò “pazzo” ai suoi contemporanei perché abbandonava le istituzioni e andava tra la gente, anche tra i cattivi e violenti… e così rinnovò la chiesa. L’apprensione di Papa Francesco per il futuro del pianeta (Laudato Si) e per la diseguaglianza socio-economica (Evangeli Gaudium) fa arrabbiare alcuni ecclesiastici che vedono nella preservazione dei valori il metodo migliore per resistere in tempi difficili. La spinta del papa a “uscire” mescolandosi ad altri così diversi, sembra dissennata e imprudente. Sorge allora quella che Andrea Riccardi ha chiamato la domanda di “nazional-cattolicesimo”, un cattolicesimo che rinnega la sua universalità e si fa simile ad una chiesa nazionale o a una setta (pur grande). Ed ecco i rosari di Salvini o le riunione a Sintra tra alcuni vescovi e i neo-liberisti dell’Acton Institute. Quasi che il neo-liberismo fosse un valore cattolico, cosa che già Giovanni Paolo II aveva criticato. Serve dunque ai cattolici quel coraggio di rivoluzionare il loro modo di “fare chiesa” aprendosi come chiede il papa. Le idee ci sono: ora serve quella rete umana che le porti, che le incarni. È l’impegno di Democrazia Solidale: partire dalle persone. Sarà lento ma è anche l’unica strada per contare.

Torniamo alla domanda dell’inizio: cosa fare per ripetere l’Emilia? Cosa può essere il “partito nuovo” senza perdere il buono che c’è nel vecchio? Difficile da anticipare ma almeno tre osservazioni iniziano ad essere chiare:

1. È finita (anche se non ce ne rendiamo ancora conto) l’epoca dei leader. La domanda “chi è il leader?” diviene obsoleta in un mondo che ha bisogno di sforzo comune. Il nuovo tipo di leadership sarà un impegno collettivo e plurale (da qui potrebbe tra l’altro partire la riflessione del Pd).
2. Non c’è più distinzione tra battaglia culturale e battaglia politica (cioè tra politico e pre-politico): la destra ha vinto quella culturale e poi la politica perché le due sono la stessa cosa; fare una battaglia culturale significa fare politica.
3. I maggiori temi del futuro sono tutti collettivi: ambiente, lavoro, diseguaglianza, conseguenze dell’innovazione tecnologica (intelligenza artificiale ecc.) e pace. Nessuno li risolve da solo ma solo insieme.

Se i temi preferiti dalla destra sono tendenzialmente declinati in modo individuale (tasse, sicurezza, giustizia, partite IVA, Brexit ecc.), quelli della sinistra e del centro-sinistra devono essere comuni e collettivi. Devono riguardare l’intera società travalicando muri, ceti, classi e geografia. Se la destra dice “ti devi difendere…”, noi dobbiamo rispondere “ci dobbiamo proteggere…”. Tanto l’autodifesa è individuale (di persona, gruppo o popolo) quanto la protezione è collettiva. Se l’autogestione della destra invita a dividere e a dividersi, a distinguere e a separare, la protezione comune della sinistra deve essere comunitaria, invita all’unità.

Prendiamo l’esempio della sanità (visto anche il corona virus): l’unica sanità possibile a protezione della salute di tutti non è separare e privatizzare ma unire la società in un grande impegno corale di sanità pubblica diffusa sul territorio, nelle scuole e nei luoghi di lavoro, di prevenzione, di vaccinazioni di massa, di ricerca e di vicinanza alla popolazione.

Prendiamo l’esempio della scuola: la soluzione ai nostri problemi non può essere la scuola privata o le nicchie di eccellenza ma scuola pubblica di qualità per tutti, a tutte le età contro l’analfabetismo di ritorno o funzionale. Il discorso sull’“eccellenza” non può divenire “castale”: occorre alzare la media generale ridando dignità al mestiere dell’insegnare.

Prendiamo infine l’esempio dell’industria manifatturiera: la risposta ai nostri problemi non può essere meno tasse e più flessibilità (cioè più precariato) invocando solo il mercato interno (limitato) né soltanto più esportazioni: ma più internazionalizzazione in nuovi mercati e più attrazione dei capitali esteri. Cioè più interconnessione con l’esterno.

Le vere risposte vengono dal costruire un sempre rinnovato NOI e dall’aprirsi al mondo senza considerarlo solo una minaccia.

×

Iscriviti alla newsletter