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Perché l’Europa tace sull’appello americano all’unità. Il commento dell’amb. Stefanini

Il tema di Monaco era un intraducibile “Westlessness” (Senza Occidente?). La conclusione del Segretario di Stato americano poteva peccare d’ottimismo ma era impeccabile: “L’Occidente sta vincendo – e lo stiamo facendo insieme”. È caduta nell’imbarazzante silenzio di tomba. In altri tempi sarebbe stata accolta da uno scroscio d’applausi. Il vuoto di reazione europea misura la distanza che si è creata fra le due sponde dell’Atlantico. Di tutte le minacce alla sicurezza – da Est o da Sud, dalla Cina o dalla Russia, dall’Iran o dal terrorismo jihadista – la discordia atlantica è di gran lunga la principale. Se la conferenza annuale sulla sicurezza (Msc) mirava ad individuarla, ci è riuscita al di là delle aspettative.

Chiusi i battenti del prestigioso Hotel Bayerischer Hof occorre domandarsi i perché del silenzio europeo all’appello all’unità americano. Sono più d’uno. Se non saranno affrontati su entrambe le sponde dell’Atlantico, la prossima Msc, fra un anno, troverà una situazione solo peggiorata – chiunque sia presidente degli Stati Uniti a partire dal 20 gennaio del 2021. Anche gli europei devono fare un esame di coscienza e resistere alla tentazione di dare tutte le colpe a Donald Trump.

Cominciamo pure dalle responsabilità americane. L’appello di Mike Pompeo all’unità occidentale è caduto nel vuoto perché mancava di credibilità. Il Segretario di Stato e l’intera delegazione americana hanno sottolineato che l’America è ben lungi dall’abbandonare l’Europa. Lo dimostrano i fatti. Il Pentagono invierà un’intera divisione (20mila militari) per l’esercitazione Nato Exercise Europe Defender. Vero, ma la negativa reazione europea riflette il fossato retorico scavato da un presidente americano che – a differenza di tutti i suoi predecessori, repubblicani o democratici – dichiara di preferire alleati divisi (vedi Brexit) anziché uniti, e non nasconde l’antipatia verso l’Unione europea. Chi semina zizzania… “Non date retta ai tweet” dicono da Washington. Mica tanto facile quando vengono da un presidente e sono religiosamente letti da qualche decina di milioni di “followers”.

Gli europei sono partiti sulla tangente di una divergenza ideologica, ambiziosa a parole e latitante nei contenuti. Sul piano della sicurezza il dato fondamentale resta un’Europa che dipende dagli Stati Uniti per la propria difesa. Non è stato Trump ad inventare l’obiettivo di bilanci militari al 2% del Pil; prima di lui lo hanno chiesto, più educatamente ma autorevolmente, Gates e Obama. Risultato: Paesi come la Germania e l’Italia, e molti altri, continuano a lievitare poco al di sopra l’1%. Il rifiuto di affrontare la crescente irrilevanza militare europea in un mondo dove la spesa globale per la difesa continua a crescere (+4% nel 2019) rende stonate le nostre continue lamentele sul distacco americano dall’impegno transatlantico. Non sono mancate neppure a Monaco. Come meravigliarsi della frustrazione americana – che in questo caso accomuna amministrazione repubblicana e opposizione democratica?

La risposta europea è un misto di palliativi e di fughe in avanti. Palliativi: la difesa europea, utile e indispensabile anche sotto il profilo industriale, può al massimo aspirare a un ruolo complementare alla Nato. E non facciamoci illusioni: senza il Regno Unito a bordo è comunque un passo indietro rispetto alle già modeste capacità di cui l’Ue disponeva fino allo scorso anno. Ma né Bruxelles né Londra hanno il coraggio e l’onestà di ammettere di aver bisogno l’una dell’altra per un minimo di credibilità militare sulle sponde orientali dell’Atlantico.

Fughe in avanti. Fra i sei obiettivi di fondo (“headline ambitions”) della nuova Commissione Ue, “geopolitica”, c’è “un’Europa più forte nel mondo”. Scorrendone poi la traduzione in programma di lavoro per il 2020 non si trova una parola su difesa, sicurezza, minacce o crisi internazionali con cui l’Ue si confronta, anche nelle immediate vicinanze come in Libia o in Ucraina. In un mondo sempre più hobbesiano la maggior forza dell’Ue è essenzialmente affidata al suo potere regolamentare, al rilancio multilaterale e ad una partnership con l’Africa tutta da costruire. Se questo è “l’appetito per il potere” dell’Europa invocato a Monaco dall’Alto Rappresentante Ue, Josep Borrell, non impensierisce concorrenti cinesi e russi e non rassicura gli alleati americani.

La divaricazione fra Usa e Europa è seria, specialmente nella prospettiva della triangolazione con la Cina. Ma è necessario, specie da parte americana, un dialogo transatlantico sui rapporti con Pechino, non un diktat tanto più quando non accompagnato da alternative. Il Segretario alla Difesa, Mark Esper, non ha risposto alla domanda di cosa potrebbe sostituire Huawei nel 5G. Se l’amministrazione Trump riscopre la solidarietà atlantica deve mollare qualcosa su “America first”. Altrimenti sono incompatibili.

Gli europei devono rimboccarsi le maniche nella sicurezza, essenzialmente elevando profilo e responsabilità all’interno della Nato anziché inseguire fantasie di “autonomia strategica” con un piatto di fichi secchi. Né possono (Emmanuel Macron) inseguire un dialogo con Mosca senza parlarne con Washington – anche perché altrimenti si dividono fra di loro.

Quest’anno Monaco ha portato in scena un’Europa e un’America che viaggiano su piani diversi. Dipende da entrambi riavvicinarli. Se invece il copione non cambia lo spettacolo continuerà ad avere spettatori entusiasti al Cremlino e nei dintorni della Città Proibita.


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