Dalle ultime ore della mattinata sono iniziate ad arrivare da Tripoli immagini di un fumo nero proveniente dalle zone del porto. “Si tratta di un attacco di artiglieria compiuto in zone vicinissime a quelle abitate”, dicevano le fonti dal posto. Poi è stato l’Esercito nazionale libico (Lna) a raccontare cos’era successo: la milizia del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, ha fatto sapere di aver bombardato.
Affondata una nave ancorata nello scalo della capitale, era l’informazione fatta circolare da Bengasi. Era turca, ha detto uno dei portavoce haftariani incaricato del supporto morale delle truppe; un miliziano che si fa chiamare generale che ha subito infiammato i fanatici (e non solo libici). Se a parlare era l’incaricato del “supporto morale” all’offensiva lanciata il 4 aprile scorso, il messaggio era chiaro andasse circoscritto nel campo della propaganda. E infatti non ci sono state navi affondate ci conferma una fonte dal posto, sebbene un colpo di artiglieria “ha mancato di poco una nave piena di Gpl per poi finire in un magazzino”. Tuttavia è interessante continuare a seguire la traiettoria di quanto dichiarato dall’Lna.
La nave, dice il motivatore haftariano, avrebbe avuto a bordo armi turche da consegnare alle forze della Tripolitania. Ankara si è effettivamente messa a disposizione sul piano militare, seppure in modo molto contingentato, del Governo di accordo nazionale libico (l’esecutivo internazionalmente riconosciuto che Haftar sta cercando di rovesciare). Ora i turchi sono i nemici numero uno del miliziano dell’Est e dei suoi principali sponsor esterni.
Per continuare a seguire la dichiarazione però, il bombardamento va inserito in una cornice politica internazionale. Ieri l’Unione europea ha deciso di costituire una nuova missione militare per controllare l’embargo di armi sulla Libia. Una risoluzione Onu del 2011 che viene costantemente violata su entrambi i lati: infatti se i turchi aiutano la Tripolitania (Tripoli e soprattutto Misurata, centro della difesa politica e militare contro Haftar), la Cirenaica di Haftar riceve sostentamento da Emirati Arabi ed Egitto. La missione europea dovrà posizionarsi davanti all’Est libico, ha deciso il Consiglio affari esteri, perché l’Ue teme che schierandosi sull’altra sponda potrebbero crearsi condizioni di pull-factor, ossia le navi europee pronte a missioni di soccorso secondo il diritto del mare potrebbero diventare un incentivo all’immigrazione.
Oggi Haftar è entrato nel dossier. Il miliziano della Cirenaica ha percepito di essere sicuro, ha considerato quelle navi davanti alle sue acque come un aiuto che arriverà dall’Ue a fermare le armi che partono dalla Turchia, e ha agito da freelance secondo i suoi interessi (colpire il porto tripolino) sfruttando un contesto favorevole per lo storytelling.
Tra l’altro, val la pena di ricordare che in queste ipotetiche considerazioni c’è un fondo di realtà: piazzare navi e supporto aereo davanti alla Cirenaica faciliterà l’intercettazione delle catene di sostegno armato a Tripoli, ma difficilmente bloccherà quelle di Haftar. La sua milizia riceve infatti soprattutto aiuti aerei, tramite cargo che atterranno a Bengasi dopo essere decollati dagli Emirati. Talvolta prima di entrare in Libia fanno scalo in Giordania, altre si fermano prima, in Egitto, e da lì tagliano il confine libico via terra. Al momento sono rotte che non rientrano tra le possibilità di intercettazione della missione Ue.
Non solo, perché l’attacco al porto di Tripoli è un’evidente, ulteriore violazione al cessate il fuoco che in queste stesse ore dovrebbe essere in fase di implementazione come conseguenza dei colloqui in corso a Ginevra. Non bastasse, ancora: mentre il porto di Tripoli finiva sotto i missili dell’artiglieria haftariana, il capo miliziano della Cirenaica stava incontrando nel suo iper-protetto quartier generale di al Rajma l’ambasciatore americano in Libia (qualcosa di simile lo aveva fatto anche nei giorni scorsi, quando nei minuti del meeting con il ministro degli Esteri italiano, tra i promotori della missione Ue, Haftar ha fatto bombardare l’aeroporto di Tripoli).
L’attacco di oggi ha colpito un’importante infrastruttura per la domanda interna di carburante mentre intanto la produzione di petrolio ha toccato nuovi minimi. Oggi la Noc, la compagnia petrolifera nazionale, ha detto che la produzione di petrolio è scesa a poco più di 130mila barili al giorno, da 1,2 milioni. Tutto a causa del blocco in corso nei campi di estrazione ordinato da Haftar, anche in questo caso ordine inviato mentre era in corso la Conferenza per la pace di Berlino del mese scorso. Secondo la Noc, le perdite legate al blocco hanno superato abbondantemente il miliardo e mezzo di dollari e sta diventando una preoccupazione per il mercato internazionale. Oggi le tribù locali che hanno fermato i campi per conto di Haftar hanno fatto arrivare al delegato Onu per la Libia, Ghassan Salamé, le loro richieste per sbloccare la crisi: “Sono piuttosto generali”, ha detto il diplomatico. Haftar usa gli attacchi al petrolio e alle infrastrutture per isolare e strangolare Tripoli.