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Huawei blinda la Francia. Ecco come e perché

Più che un investimento, un’ipoteca. Huawei ha scelto la Francia per costruire una fabbrica di equipaggiamento per il 5G. La prima fuori dalla Cina, l’unica in Europa. A dare l’annuncio del maxi-investimento del colosso tech di Shenzen, 200 milioni di euro per iniziare, il presidente Liang Hua. Il numero uno dell’azienda ha già snocciolato alcuni dettagli: produrrà le antenne radio per la rete 4G e 5G, creerà 500 posti di lavoro e ogni anno circa un miliardo di euro di valore.

Non è ancora stata decisa la location dove sorgerà l’impianto, ma gli indizi portano a indicare la regione dell’Alsazia, e la città di Strasburgo, come candidati privilegiati. Lì è da un anno in corso un continuo via vai di alti ufficiali di Huawei. Lo stesso fondatore Ren Zhengfei, ex ufficiale dell’Esercito di liberazione popolare cinese, ha fatto tappa a Strasburgo nel 2019. Poi, riporta il giornale locale Le Canard Enchaîné, è stato il turno, per ben due volte, del numero uno dell’azienda in Europa, Abraham Liu, e lo scorso gennaio della responsabile delle Relazioni istituzionali, Catherine Chen.

La mossa di Huawei blinda un Paese decisivo per vincere la battaglia del 5G in Europa. Il colosso è accusato di spionaggio dagli Stati Uniti, che da mesi invitano i partner europei a non affidargli la costruzione della rete 5G mettendo così a rischio la sicurezza dei dati sensibili, a partire da quelli scambiati fra alleati della Nato. Finora l’appello non ha raccolto grande successo. L’Italia ha introdotto un incisivo aggiornamento della normativa sulla rete 5G con il decreto cyber, la Germania rimane sospesa, complice una spaccatura della Cdu sul da farsi.

La Francia ha escluso ufficialmente la possibilità di un bando, che è stato negato sia da membri del governo che dai vertici dell’intelligence (è il caso del coordinatore nazionale dell’intelligence in un’intervista a Formiche.net), e ora si candida a diventare l’avamposto di Huawei nel Vecchio Continente. Che non sia un semplice affare lo ha chiarito senza mezzi termini il presidente Hua: “Questo sito fornirà l’intero mercato europeo, non solo quello francese”.

Dal governo è arrivato puntuale l’endorsement. L’ufficio del ministro dell’Economia Bruno Le Maire a Bercy fa trapelare entusiasmo: “Accogliamo positivamente questo impianto di produzione, dimostra che il Paese è competitivo e che le nostre riforme portano frutti”. L’esultanza è seguita, a scanso di equivoci, da un appunto: “Questo non ha nulla a che vedere con la nostra politica in materia di sicurezza delle comunicazioni, che non cambia. Gli equipaggiamenti sono autorizzati caso per caso, secondo una lista di criteri chiari e oggettivi”.

In conferenza stampa Hua ha messo le mani avanti, spiegando che non si tratta di una “charm offensive” del governo cinese per far pendere l’ago della bilancia dei Paesi europei nella competizione per il 5G. Il tempismo dell’annuncio però fa pensare diversamente. Proprio mercoledì l’Arcep (Autorità di regolamentazione delle comunicazioni elettroniche e servizi postali), agenzia governativa preposta alla regolamentazione del settore telco, ha rivelato il calendario per l’implementazione della rete di ultima generazione, che inizierà con l’asta per le frequenze 3,4-3,8 Ghz con l’obiettivo minimo di un incasso per il governo di 2,7 miliardi di euro.

Parteciperanno quattro aziende: due, Free (Iliad) e Orange (ex France Telecom) hanno già scelto le europee Nokia ed Ericsson per la rete 5G, altre due, Sfr e Bouygues Telecom non possono né vogliono fare a meno di Huawei. Il lancio mediatico del maxi-investimento dell’azienda cinese in Francia, peraltro mentre il governo è sotto pressione delle associazioni di settore, che chiedono una chiara tabella di marcia a Palazzo Matignon, mette un carico da 90 sulla presenza di Huawei nel mercato francese del 5G.

Il metodo è consolidato, e ci sono precedenti. Annunciare investimenti monstre in un Paese, proprio quando le pubbliche autorità stanno valutando un bando dell’azienda. È già successo due anni fa in Olanda, rivela il giornale americano Politico che ha chiesto al tribunale dell’Aja di desecretare la corrispondenza fra i vertici di Huawei e il governo. Dai documenti è emersa una serrata trattativa sul finire del 2018, quando l’esecutivo olandese era in procinto di adottare restrizioni alla presenza della compagnia cinese. All’epoca gli ufficiali di Huawei promisero al governo un investimento di diversi milioni di euro per un centro di ricerca in Olanda. Del centro non si è avuta più notizia, ma la lobby ha sortito i suoi effetti: lo scorso dicembre il governo ha introdotto una nuova legge che permette agli operatori di escludere in libertà fornitori legati a governi stranieri.

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